9.19.2005

«Il mondo ha bisogno dei progressisti, fermiamo la deriva di destra»

«L'Europa ha una grande forza. E deve saperla usare. L'Unione europea possiede enormi potenzialità ed è giunto il momento che abbandoni un po' della sua tradizionale diplomazia per far pesare, con decisione, la propria determinazione».

Poul Nyrup Rasmussen, già premier danese, presidente del Pse, il Partito del socialismo europeo, è tra gli animatori del "Global Progressive Forum" che si apre oggi a Milano all'interno della Festa nazionale de l'Unità. Per due giorni, il Forum raduna centinaia di persone, esponenti del mondo politico internazionale, leader di partiti, di sindacati, di associazioni indipendenti e di istituzioni mondiali. Una grande fetta del mondo progressista si ritrova qui per affrontare i temi del dialogo nell'era della globalizzazione e per fare il punto sulle grandi sfide aperte: lotta alla povertà, all'Aids, al terrorismo, all'unilateralismo militare, per il governo dell'economia e la difesa dei diritti.

Presidente Rasmussen, l'Europa ha una chance. Adesso. Ma sembra ferma. Anzi paralizzata. Che ruolo può svolgere al cospetto di sfide così impegnative?
È giunto il momento in cui l'Europa metta sul tavolo tutta la sua autorevolezza. È l'ora della grande sfida politica. Una sfida a tutto campo. Al presidente Usa, George Bush, dobbiamo essere capaci di dire, e noi lo diremo qui al Forum, che gli obiettivi del Millennium non si toccano e vanno perseguiti. Le recenti affermazioni dell'ambasciatore americano all'Onu sono inaccettabili. Dobbiamo impedire che l'amministrazione Bush trascini il mondo lontano. Per combattere il terrorismo e la criminalità c'è un estremo bisogno del Millennium.

Il compito si presenta arduo, le pare? Che significa darsi l'obiettivo di creare una "comunità progressista per riformare la globalizzazione"?
Non me lo nascondo: il compito è davvero impegnativo. Noi contestiamo a Bush d'aver trascinato il mondo troppo a destra. Va fermata questa deriva. Oggi il mondo ha bisogno di correre su altri binari. Vede, per anni si è faticato nei singoli Paesi per creare le condizioni in cui potesse operare una vera economia di mercato. Adesso, quest'economia è diventata internazionale e, dunque, ha bisogno di regole per meglio funzionare. Io dico che per assicurare l'occupazione e per combattere la criminalità è necessario disporre di migliori regole internazionali. A Milano discutiamo anche di questo.

Come costruire un clima diverso? Come far lievitare un nuovo slancio progressista?
Dobbiamo dar corpo ad un'opinione pubblica mondiale. Nella storia americana s'è già visto come gli uomini più forti siano vulnerabili e sensibili alla pressione dell'opinione pubblica. Vedo la possibilità di una nuova alleanza nella società civile tra sindacati, partiti socialisti, personalità della società civile: tutti uniti per raggiungere gli obiettivi.

È un fatto, però, che non si avverte la presenza di un fronte progressista che elabora e produce risultati. In Europa, poi. Che fa il movimento socialista e socialdemocratico. Dopo l'esplodere dell'ultima crisi in Europa, s'è visto e sentito poco.
Ci siamo riuniti a Vienna e abbiamo deciso che, dopo quanto accaduto in Francia e Olanda, non è più tempo di stare a chiedere un nuovo referendum. C'è una precedenza, c'è un obbligo: incassare risultati concreti sui nodi che preoccupano l'opinione pubblica. Si tratta di dare risposte alle preoccupazioni quotidiane dei cittadini: la disoccupazione, la criminalità, la protezione dei minori, l'ambiente, l'istruzione. Questo è ciò che l'Europa deve fare. L'Europa non deve più essere vista attraverso porte chiuse.

Quali iniziative prenderanno i socialisti europei? Può anticiparne qualcuna?
Abbiamo deciso con Gordon Brown, che rappresenta la Presidenza, che i ministri della famiglia socialista coordinino le proprie azioni in seno al Consiglio Ue. Intendiamo aprire una vera offensiva sulle politiche del lavoro in Europa. I leader del Pse si riuniranno alla vigilia del prossimo summit straordinario, in Gran Bretagna, alla fine di ottobre. Pensiamo a tre linee d'azione: sulla società attiva per intervenire nella politica del mercato del lavoro, sulla "società inclusiva" per affrontare gli aspetti più gravi dell'emarginazione, infine sulla dimensione europea per arrivare, al congresso del Pse, nel 2006, con una posizione condivisa sul modello sociale europeo.

Vale ancora l'esempio scandinavo?
Eccome. Dobbiamo saper coniugare sicurezza sociale e competitività. Si può fare in tutti i paesi dell'Unione. Certo, non pensiamo ad un modello valido per tutti. Ma a dei principi comuni, questo sì.

È un fatto, tuttavia, che si è ancora ben lontani dal coordinamento delle politiche economiche. Sarebbe un passo enorme.
Infatti. Basta con la teoria. I ministri dell'Economia si diano una mossa per assicurare a livello europeo investimenti concreti per la strategia di Lisbona: istruzione, sviluppo, politiche del lavoro, infrastrutture e trasporti. Per far questo non c'è bisogno di un nuovo Trattato. È questione di volontà politica. Possiamo riuscirci.

Tony Blair ha pronunciato un ambizioso discorso a luglio, all'inizio del semestre britannico. Ha detto: meno sussidi agricoli più ricerca. Poi, silenzio.
Blair può farcela. Ma non è semplice. Sarà più facile far crescere l'occupazione ma riformare la politica agricola è un'impresa. Spero in un compromesso entro dicembre. Io dico: Tony vai avanti, c'è bisogno di una riforma nell'Unione.

La questione cinese è diventata un tema di primo piano. La Cina è un pericolo?
Direi proprio di no. Quando, anni fa, il Giappone sbarcò in Europa con le sue macchine fotografiche si temette un ko. Poi fu chiaro che anche i nostri prodotti si affermavano a Tokyo. Ai dirigenti cinesi bisogna dire: noi apriamo i mercati ma voi dovete assicurare ai vostri lavoratori diritti e salari dignitosi. Vale per la Cina e vale per l'India. È il momento di garantire i diritti in ogni parte del mondo. Altrimenti non potremo spiegare ai nostri lavoratori il concetto di solidarietà mondiale.

L'Europa s'è sentita chiedere, in questi giorni, aiuto e assistenza da parte degli Usa, dopo la catastrofe provocata da Latrina. Non le sembra strano?
Oltremodo strano ma accade. L'Europa ha l'occasione per dimostrare, in quest'occasione, la propria forza e il proprio ruolo. Lo deve fare con gli Usa, a proposito del Millennium o della guerra in Iraq, lo deve fare con i paesi dell'Africa del nord con cui, a volte, si è usata sin troppa gentilezza. In Algeria, per esempio, scompare ancora della gente nel nulla oppure una donna laureata che fa la manager nel settore petrolifero guadagna soltanto 500 euro. Bisogna alzare la voce su questi aspetti di un mondo diseguale e violento. Prendiamo la Russia. Con Putin abbiamo parlato chiaro: o firmi il protocollo di Kyoto o niente mercato globale. Lui ha capito il linguaggio del potere e ha firmato. L'Europa ha la più forte economia del mondo e può dire ad alta voce ciò che vuole. Se lo vuole.

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