2.26.2007

La "illusione" delle fonti rinnovabili

Anche se di parte ritengo questo documento molto interessante per farsi un idea più precisa sulle fonti rinnovabili e sul loro utilizzo.

di Andrea Clavarino*
Secondo le previsioni dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE), massima autorità nel settore energetico mondiale, le energie rinnovabili ricoprono attualmente tra il 16% e il 18% del fabbisogno energetico mondiale.
Questo contributo proviene essenzialmente dalle biomasse e dai rifiuti (tra il 9% e l'11%) e dall'idroelettrico (6,5%), mentre è pressoché irrilevante il contributo di altre fonti rinnovabili.
La stessa AIE prevede che al 2030 le fonti rinnovabili arriveranno a coprire tra il 18% e il 22%, con un maggior apporto da parte delle biomasse e dei rifiuti, seguite dall'idroelettrico (rappresentato essenzialmente dai grandi impianti).
E' significativo come ancora una volta sono due fonti rinnovabili come rifiuti e grandi impianti idroelettrici a risultare più efficienti, rispetto a fonti meno programmabili come quelle dell'eolica e del fotovoltaico.
Quest'ultime infatti mal si prestano ad essere inserite con profitto nelle reti elettriche dei paesi sviluppati, come evidenzia l'esempio dell'eolico in Germania: la potenza installata è il 15% del totale, ma l'energia prodotta è solo il 4% producendo gravi disturbi alla rete con la necessità di avere sempre una "riserva calda". E' indubbio che, come in Italia, anche in Europa c'è una corrente di pensiero ambientalista favorevole a questa linea, ma è anche evidente che gli altri grandi paesi europei, almeno per quanto riguarda l'energia elettrica, partono da situazioni produttive ben diverse da quella italiana. In questi paesi infatti, la produzione di energia elettrica viene essenzialmente da nucleare e/o da carbone, le due fonti meno costose, mentre in Italia il maggior contributo viene dal gas, la più costosa. Poco è invece il contributo del carbone, mentre nullo è quello nucleare.
Puntare sulle fonti rinnovabili e sul gas naturale nella produzione di energia elettrica vuole solo dire bollette salate ed emarginare l'Italia dallo sviluppo, rischiare la delocalizzazione di diverse industrie e, in un mercato europeo veramente liberalizzato, ridurla a terra di conquista per i produttori europei più accorti.
Inoltre, il futuro dell'energia non potrà essere all'insegna dell'idrogeno prodotto con fonti rinnovabili, sia perché lo sviluppo dello stesso si è quasi fermato, sia perché l'idrogeno si ottiene passando per l'energia elettrica e quindi il contributo di questa fonte sarà per decenni così modesto che non c'è ragione per non utilizzare direttamente il vettore elettrico di cui già esiste una rete di distribuzione super sperimentata..
Piu' rinnovabili (care e sussidiate dal contribuente) quindi possono andare insieme a piu' carbone (poco costoso e non sussidiato) come nel caso tedesco sopratutto tenendo conto che, sempre secondo l'AIE, i rilevanti investimenti ambientali effettuati in Italia nelle centrali a carbone, pari a circa 4 miliardi di Euro, hanno permesso drastiche riduzioni delle emissioni di Ossidi di Azoto (NOX), Anidride Solforosa (SOX), polveri e CO2, e migliorato le efficienze, con rendimenti medi del 40% (rispetto ad una media europea ben più bassa del 35%).
L'Italia quindi, insieme alla Germania, si colloca tra gli Stati Europei che hanno maggiormente investito per migliorare le efficienze e ridurre le emissioni delle esistenti centrali a carbone, come nel caso del progetto di riconversione da olio combustibile a carbone della centrale di Torrevaldaliga Nord, che ha ottenuto il prestigioso Powergen Award per l’adozione delle migliori tecnologie industriali: nel 2008, una volta completata, Torrevaldaliga Nord sarà la centrale a carbone pulito più avanzata al mondo, con efficienze del 46%.
Lo stesso Commissario Europeo per l’Energia, Andris Piebalgs, durante la visita al cantiere della centrale Enel di Civitavecchia del 16 ottobre scorso, ha dichiarato: “La tecnologia del carbone pulito contribuisce ai tre obiettivi più importanti della nuova Politica Energetica Europea: sicurezza degli approvvigionamenti, lotta al cambiamento climatico e competitività dell’economia. Lo sviluppo degli impianti a bassa emissione di anidride carbonica, come questo di Civitavecchia, dovrebbe diventare uno degli obiettivi comuni dell’Unione Europea, che la Commissione vuole promuovere nel suo Piano Energetico Strategico.
*Presidente Assocarboni

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2.18.2007

«Cento aerei da passeggio»

Franca Rame e Dario Fo


Evviva! Avremo anche noi una potente aviazione da guerra con la bellezza di 133 aerei da combattimento che abbiamo appena ordinato agli Stati Uniti. Qualche giorno fa il senatore Lorenzo Forceri, su incarico del Governo, si è appositamente recato, quasi in segreto, a Washington per firmare l’accordo. L’acquisto ci costerà molto caro, ma alcuni tecnici della coalizione governativa ci assicurano che sarà un affare. Ogni macchina da guerra volante verrà assemblata in Italia, esattamente in un grande atelièr di alta meccanica presso Novara. Ci lavoreranno circa 200 operai.

Evviva! Così abbiamo risolto il problema dell’occupazione e dei precari. E’ importante sapere il nome con cui vengono ufficialmente chiamati questi apparecchi d’assalto: Joint Strike Fighter che, tradotto un po’ all’ingrosso, significa caccia bombardiere d’attacco e immediata distruzione.

Ma scusate: Prodi e il suo apparato governativo non ci avevano assicurato che tutte le nostre missioni all’estero, a cominciare dall’Afghanistan, sarebbero state assolutamente missioni di pace e profondamente umanitarie? Io mi credevo che “immediata distruzione” significasse cancellazione totale di obiettivi militari e anche civili casualmente abitati dalle solite vittime collaterali con lancio di napalm, bombe a grappolo e fosforo bianco. “No!”, sono stato subito corretto dalle dichiarazioni dei ministri della guerra Usa. Ci hanno spiegato che quelle bordate di luce accecante sono in verità luminarie per creare effetti festosi e rendere splendenti le immagini paesaggistiche della zona. Ma veniamo al dunque.

Cosa costa in realtà ogni singolo “Fighter Distructor”? Ecco la cifra: esattamente 100 milioni di euro cadauno. Ma non si concedono prototipi singoli: il contratto vale solo se si acquista lo stormo al completo. Nel nostro caso si tratta di 133 aerei. Prendere o lasciare! Così il blocco volante ci verrà a costare 13 miliardi di euro più trasporto, assemblaggio, tecnologia di ricambio, macchine robotiche e uno staff di tecnici della casa costruttrice per la manutenzione e le varianti tecnologiche, giacché il vero collaudo dei volatili meccanici dovrà svolgersi sulle nostre basi che evidentemente abbisogneranno di strutture e hangar speciali. Gli apparecchi di questo stormo avranno eccezionalmente la facoltà di essere riforniti di carburante in volo, quindi la nostra squadra fighter dovrà essere dotata di apparecchi cisterna che seguiranno la flotta di combattimento per pompare a tempo debito il pieno necessario all’azione. Nelle spese dobbiamo ancora aggiungere l’assetto tecnico per i piloti in combattimento: armi leggere di bordo, mitragliatrici da 20 millimetri, razzi e missili, qualche cannone per non essere da meno e la possibilità di caricare ogive atomiche tattiche o pesanti. Il tutto non è compreso nel prezzo iniziale.

Alcuni tecnici da noi interpellati hanno sparato costi da capogiro. Sempre a livello di miliardi di dollari! Una cifra che da sola ci permetterebbe di risolvere d’acchito il problema della disoccupazione giovanile in Italia, aggiunto al problema delle pensioni, oppure finalmente finanziare la ricerca. Ma che scherziamo?! Buttiamo i denari per le pensioni agli anziani e gli asili nido, con ‘sti vecchi che continuano imperterriti a campare oltre il limite mondiale stabilito dall’Onu, e i neonati la cui percentuale di sopravvivenza dopo il parto è cresciuta a dismisura?!! E menomale che possiamo avvalerci di una sanità da terzo mondo! L’Italia deve tornare a livelli guerrieri dell’antica stirpe, pardon… l’aveva già detto Mussolini? Come non detto! E poi vogliamo giocarci l’amicizia del Governo di Bush presentandoci inermi al prossimo conflitto? Basta con questo popolo di mammoni e di “tengo famiglia”. Sacrifichiamo i nostri pochi quattrini, che del resto non abbiamo, pur di guadagnarci una degna alea di potenza guerresca. Facciamoci valere per dio!, come disse un nostro degno politico. Chi l’ha detto? Bondi? La Russa? Berlusconi? Lasciamo correre… e torniamo alle cose serie.

Il fatto curioso e nello stesso tempo sconvolgente è che nessun giornale, fra i numerosi cosiddetti indipendenti, ne abbia parlato, o almeno dato accenno, a partire da la Repubblica, il Corriere, il Messaggero etc. L’unico che ne aveva trattato largamente è il Manifesto. Ma prima di questo quotidiano, chi ha dato notizia dell’inqualificabile acquisto? Due vescovi del Piemonte che in un comunicato osservavano che l’acquistare un così gran numero di potenti aerei da combattimento, attacco e distruzione non era certo un amoroso segnale di pace e non faceva intravedere un programma consono alla costituzione italiana che “ripudia la guerra”. Anzi, se si accumulano armi per guerre dette preventive arriverà il momento in cui bisognerà pure adoperarle. E ancora i vescovi si chiedono: a che servono simili ordigni di morte in un programma di aiuti umanitari, costruzione di scuole, asili nido, ospedali, distribuzione di cibo e medicine?

E sullo stesso argomento leggiamo sul sito di Pax Christi: il governo italiano ha pochi soldi e vi sembra sensato che si sperperino miliardi per procurarci un assetto di quella potenza distruttiva? Sappiamo che l’intento del comando militare USA in Pakistan è di sferrare nell’immediata primavera, in collaborazione con tutti i reparti militari che operano nel Paese sotto l’egida dell’Onu, un attacco definitivo contro i talebani, che si stanno fortemente riprendendo nelle regioni del Sud in loro possesso. E il comando Usa ribadisce, se mai non si fosse capito: tutti i contingenti di varie nazionalità dovranno partecipare all’attacco a fianco delle forze americane. Quindi niente manfrine e furberie d’acquattamento: guai a chi scantona!

Ecco perché il governo italico firma impegni d’armamento d’attacco pesante! È come dire: io ci sto, ci stiamo armando. Ho detto armando? Mi ricorda una canzone: è caduto giù l’Armando. Ma non scherziamo!

Per finire con i diabolici Fighter, c’è un ultima notizia, naturalmente taciuta dal nostro governo libero e giocondo, una notizia tenuta nascosta dai quotidiani governativi e d’opposizione, radio, televisioni e svelata soltanto sul sito di Pax Christi, sul Manifesto, e da alcuni movimenti pacifisti nei loro blog. I velivoli in questione sono prodotti da una nota impresa aeronautica, la Lockheed, la stessa che una trentina d’anni fa pagò nostri ministri e capi del governo della Dc, versando miliardi in tangenti, perché lo Stato italiano scegliesse di acquistare da loro speciali aerei da guerra. Ma allora è proprio un vizio! È inutile, quello è il motto dei nostri dirigenti moderati: “Se proprio non vuoi prostituirti, almeno chiudi un occhio e collabora!”.

Ma qui c’è un’ulteriore notizia veramente gustosa: veniamo a sapere che la Lockheed in questione ha proposto l’acquisto degli stessi “Fighter-ammazza-e-fai-strage” all’Olanda. Il governo dell’Aia, come sua abitudine, di democrazia reale, ha reso nota al pubblico l’operazione e ha richiesto all’America i progetti e gli abbozzi di prototipi. Dopo averli esaminati per lungo tempo con la consulenza di ingegneri specialisti del settore, ha decretato: “Grazie, ma non se ne fa niente. Questi apparecchi non corrispondono ai requisiti che si promettevano nel progetto. Per di più ci verrebbero a costare una pazzia e noi non siamo in grado di sostenere un simile salasso. Quindi rigettiamo la proposta. Ci spiace, ma sarà per un’altra volta.”

Il nostro governo, invece, non ha bisogno di produrre inchieste, verifiche e controlli. Noi si va sulla fiducia! Acquistiamo a scatola chiusa, senza nemmeno conoscere quale sarà il prezzo finale di ogni aereo, al termine dei collaudi e delle varianti. Se poi non funziona sono fatti nostri. Vogliamo disdire il contratto? Passare per anti-americani?! Non se ne parla nemmeno. Ingoiamo il rospo e speriamo che voli!

Vicenza: una base militare? No… solo culturale! Ma forse abbiamo tergiversato un po’ troppo. L’argomento principale di cui dobbiamo trattare è quello di altri aerei e altri aeroporti… in particolare parleremo dell’allargamento della base militare Usa a Vicenza.

Ma il tema che vi proponiamo è ancora più ampio e coinvolge tutte le basi americane in Italia e in Europa. Perché vi facciate un’idea realistica, le basi militari Usa conosciute nel mondo sono oggi oltre 850, il doppio di quelle dell’impero romano d’occidente nel momento della sua massima espansione. In Europa sono 499. In otto di questi siti europei sono custodite 480 testate nucleari (Left 26 genn). Un esercito di 150.000 uomini (civili e militari) presta servizio in queste basi. Una città… come Vicenza!

Mantenere un simile assetto costa 10 miliardi di dollari l’anno solo per la manutenzione ordinaria. Ottanta milioni di dollari vengono spesi soltanto per tenere in ordine i campi da golf dove si sollazzano gli ufficiali. Se non fai un po’ di moto, sparando palline qua e là, che vita è? Con questo malloppo di dollari si potrebbe risolvere il problema dell’Aids in Africa oppure, con un po’ più di impegno, la fame nel mondo.

A queste basi va aggiunto un numero imprecisato di strutture segrete – avamposti per le intercettazioni delle comunicazioni, centri di spionaggio, basi aeronavali e sommergibilistiche – spesso invisibili allo sguardo ma pienamente operative per fini sconosciuti. Questa caterva di basi, visibili e segrete, di fatto sconvolge letteralmente la vita dei territori dove vengono insediate e ci fa capire – come diceva il grande storico e filosofo francese Michael Foucault – come oggi la sovranità imperiale non sia più basata, semplicemente, sul potere di dare la morte – per esempio attraverso la guerra – ma sul potere globale esercitato sulla vita delle persone. Per introdurvi nel clima davvero tragico che questi servizi imposti determinano nella popolazione entriamo subito in argomento con un esempio di forte impatto.

In Italia le installazioni americane, cioè basi, radar, magazzini…, sono 113. Conosciamo le spese militari degli Usa nel nostro Paese e conosciamo anche le spese sostenute dallo stato italiano. Attenti!, non grazie a dichiarazioni dei nostri governi (per carità: il motto “Taci che il nemico ti ascolta” l’abbiamo imparato da tempo. È entrato nel DNA e qui il nemico cui non bisogna far sapere niente ce l’abbiamo in casa: sono gli abitanti del nostro Paese)… Le notizie sulle spese le abbiamo ricevute dall’ultimo rapporto ufficiale reso noto dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Alla pagina “B-10” del rapporto Usa c'è la scheda che ci riguarda: vi si legge che il contributo annuale alla “difesa comune” versato dall'Italia agli Usa per le “spese di stazionamento” delle forze armate americane è pari a 366 milioni di dollari. Tre milioni, spiega il documento ufficiale, li versiamo cash, contanti, mentre gli altri 363 milioni arrivano da una serie di facilitazioni che il governo italiano concede all'alleato: si tratta (pagina II-5) di «affitti gratuiti (di caserme, case e palazzi), riduzioni fiscali varie e costi dei servizi ridotti». Per inciso ciò che le imprese del Nord-Est e del Meridione chiedono disperatamente da anni al governo di Roma senza ottenerlo, gli Usa lo incassano in silenzio già da molti anni. Pronto Usa? Cash, tac!

Dunque il 41 per cento dei costi totali di stazionamento è a carico del governo italiano. Più dell'Italia pagano solo Giappone e Germania (tabella di pagina E-4). Ma calmi… se fidiamo nella disponibilità dei nostri governanti arriveremo a raggiungerli e anche sorpassarli!

Ora entriamo in altri particolari, cominciando con il descrivervi la situazione in Sardegna. Perché iniziamo proprio da quest’isola? Per la semplice ragione che qui è concentrato il 60% dello spazio occupato dalle basi militari Usa in Italia. In Sardegna abbiamo il grande poligono che comprende le aree di Quirra, Perdasdefogu e capo San Lorenzo. E dobbiamo segnalare la base navale più importante per sommergibili atomici, quella sull’isola di Santo Stefano, la Maddalena, che occupa, di fatto per intiero, la piccola e ridente isola degna d’essere ritenuta dall’Unesco patrimonio dell’umanità.

Particolare interessante: chi ha fatto dono agli Usa di questo spazio della costa Smeralda è in persona Giulio Andreotti circa 30, 35 anni fa. Dio gliene renda merito! Il mare che circonda l’isola è proprietà della base a tutti gli effetti, a partire da esercitazioni e collaudi. Sul fondo rotolano di continuo proiettili di varie dimensioni che in seguito alle mareggiate si ritrovano sulla spiaggia.

È inutile dire che in quella zona la balneazione è proibita. Così come per i pescatori proibito è stendere reti nel golfo e dintorni dell’isola. Qualche anno fa ha fatto scalpore la notizia che uno dei sommergibili atomici della base aveva subito un incidente che ha messo in grave pericolo la vita degli abitanti dell’isola e dell’intiero spazio acqueo. Il fatto è avvenuto esattamente il 25 ottobre 2003. In quel caso il sommergibile atomico Hartford andò a incagliarsi nella Secca dei Monaci, presso la Maddalena, riportando seri danni. Il fatto fu ritenuto tanto grave da indurre il comando Usa a sospendere il comandante del sommergibile. L’incidente è stato tenuto celato come al solito dalle autorità italiane e se n’è saputo qualcosa solo grazie alle dichiarazioni del comando Usa. C’è stata perdita di materiale radioattivo? E le notizie dei numerosi casi di leucemia, come le mettiamo?! Mah…

Le autorità americane interrogate non hanno rilasciato alcuna notizia sull’eventuale contaminazione del fondale e delle acque. Solo recentemente, in seguito a manifestazioni iniziate nella piccola isola e riprese in tutta la Sardegna, agenzie straniere hanno condotto alcuni sondaggi scientifici in zona. Esiti delle ricerche eseguite da istituti indipendenti (tra i quali il francese CRIIRAID) hanno rivelato una presenza abnorme di radionucidi nelle alghe.

Da qui sono nate dimostrazioni di protesta da parte degli abitanti e in particolare dei pescatori che vedono ormai compromessa la propria sopravvivenza, sia fisica che di lavoro. Le stesse analoghe manifestazioni di protesta sono esplose a Capo Teulada nel sud dell’isola, dove in seguito alle ripetute esercitazioni militari i pescatori si trovavano costretti a non poter calare le reti nelle acque prospicienti la costa, fra l’altro le più pescose. Durante una di queste proteste, i manifestanti che si erano avvicinati alla zona off limits con le loro imbarcazioni hanno dovuto subire un vero e proprio speronamento da un’imbarcazione della marina militare italiana (9 marzo 2005). Paradossale che a proteggere i pescatori siano intervenuti i marinai della base degli Usa. Grazie America!

Ad un certo punto il comando Usa della Maddalena ha sospettato che la loro presenza non fosse molto gradita alla popolazione che vedeva crescere le contaminazioni radioattive e si sentiva di fatto privata del diritto di gestire liberamente la propria vita. Per di più ai natanti d’ogni genere, compresi quelli dei turisti, non è permesso di attraccare o gettare l’ancora in prossimità di quelle coste. Così si è cominciato a raccogliere la voce che l’intiero contingente navale americano stesse per traslocare altrove. Era questione di mesi. Ma evidentemente era solo un sogno per quegli abitanti. Infatti, secondo quanto riportato ultimamente dalle agenzie di stampa e da alcuni quotidiani locali - Il Giornale di Sardegna e La nuova Sardegna, in data 16 settembre 2005 -, gli Usa intenderebbero prossimamente rafforzare la loro presenza nella base per sottomarini nucleari dell'isola della Maddalena; il progetto prevede un ampliamento della base pari a più del doppio delle volumetrie concesse (da 50.000 metri cubi si passerebbe a 120.000). Insomma ci si sono affezionati… andandosene ci lascerebbero il cuore… per cui… raddoppiano!

Ed ora veniamo a noi, cioè parliamo di Vicenza, la città del Palladio e culla della commedia dell’arte, il più famoso teatro della tradizione antica italiana. Qui si sta progettando un ingigantimento dell’attuale caserma Ederle e della realizzazione della più potente base americana nell’Europa. Qui verrebbe ospitata la nuova 173ma brigata aerotrasportata, che triplica la forza e gli organici di quella ora divisa tra qui e le basi tedesche di Bamberga e Schweinfurt. È proprio uno spasso constatare che mentre i tedeschi, popolo guerriero, stufi di ospitare da più di mezzo secolo le brigate degli amici d’America, li invitano a sloggiare, noi, popolo canterino-pacifico, col nuovo governo di centro-sinistra spalanchiamo felici le braccia per raccogliere quello che in Germania non possono più sopportare. Ma siamo sicuri che questo nostro sia un governo “nuovo”?

Però nella città del Palladio non vedremo giungere solo uomini. La 173ma brigata non è composta da soli paracadutisti e aviotrasportati. Reca con sé un bagaglio più che consistente: 55 tank M1 Abrams (cioè proprio pesanti! Con cannoni da 90 a 120 millimetri), 85 veicoli corazzati da combattimento, 14 mortai pesanti semoventi, 40 jeep humvee con sistemi elettronici da ricognizione, due nuclei di aerei spia telecomandati Predator, una sezione di intelligence provvista di diavolerie elettroniche, due batterie di artiglieria con obici semoventi e i micidiali lanciarazzi multipli a raggio lungo Mrls.

Un forza d’urto sufficiente a cancellare una metropoli! E già che siamo sotto Carnevale si può ben dire una scatenata festa coi botti!

A detta del generale James L. Jones la 173ma brigata è da chiamarsi “maglio mobile con la potenza di fuoco di una divisione d’attacco immediato”. Per chi ama il cinema il nome 173ma brigata fa subito venire in mente Apocalypse Now, dove proprio il contingente d’attacco in questione si esibiva al comando di un capitano-cowboy nella distruzione di villaggi e massacro di popolazione in Vietnam al suono delle Valchirie di Wagner.

Prego… benvenuti nella dolce Padania, accomodatevi! Mentre sorpassate coi vostri elicotteri bombardieri il Mekong, sì voglio dire… il nostro Po, per delicatezza, vi dispiace mettere in onda il Va pensiero di Verdi se in un momento di euforia vi scappa di gettare napalm? Ma il nostro governo, attraverso i suoi ministri, insiste ad assicurare che nella base non ci saranno armi di alcun genere, neanche temperini e tagliacarte!

A parte i lazzi da commedia dell’Arte, per ospitare degnamente tutta questa forza di fuoco, abbisogneranno strutture e sovrastrutture nuove ed efficienti. Il movimento di questi mezzi d’attacco, camion blindati, carri da sfondamento, tank…, avrà bisogno di strade adatte e solide… soprattutto sgombre. Non si accettano ingorghi e traffico caotico, niente biciclette, bambini e vecchietti curiosi. Stare alla larga, prego!

Il Ministro Parisi ha tranquillizzato la popolazione, letteralmente garantendo che: “Il governo ritiene suo dovere vigilare affinché le opere che verranno realizzate siano rispettose delle esigenze prospettate dalle comunità locali, con particolare riferimento all’impatto sul tessuto sociale, sulla viabilità e sulla rete dei sottoservizi.” (la Repubblica, 31 genn. P. 10) Inoltre ha assicurato che il Comune sarà esonerato dalle spese per le infrastrutture e che i servizi sportivi, scolastici e naturali (ora in funzione, da abbattere) verranno ricollocati e ricostruiti altrove a carico degli americani. Ricostruire? Ma dove? Quando? Dov’è il progetto da discutere?

C’è proprio da farsi una grossa risata. Già che c’era, il nostro ministro della guerra, pardon della Difesa!, poteva anche giurare che le autorità di controllo del governo italiano hanno libero e continuo diritto di accesso nella base in ogni ora o momento senza preavviso, onde verificare che i responsabili della base stessa stiano proseguendo come da regolamento previsto. Chissà se ai nostri controllori della Repubblica italiana sarà permesso anche di verificare che nella base di Vicenza, oltre che a uno stivaggio di svariate tonnellate di proiettili di vario calibro, non si trovino per caso anche ogive atomiche.

Stiamo esagerando? Facciamo del terrorismo gratuito? E allora, eccovi qua la testimonianza del Natural Resources Defence Council (Stati Uniti). Secondo questa autorevole fonte sarebbero 40 le testate nucleari stoccate nella base di Torre di Ghedi (provincia di Brescia) e 50 quelle custodite ad Aviano, della potenza variante da 0,3 a 170 chilotoni (quella della bomba sganciata su Hiroshima era di circa 15 chilotoni), tutte bombe, queste, stivate nelle nostre basi a disposizione di Tornado anche dell’aviazione militare italiana. Se gradisce… Quindi stiamo tranquilli, noi qui nel nord siamo al caldo!

Qualcuno, scrivendo su testate di prestigio, si è chiesto se non fosse stato più ragionevole e comodo scegliere come base e relativo nuovo aeroporto uno spazio più consono, situato in una piana meno abitata e sgombra di fabbriche come è la zona intorno a Vicenza, il cui centro dista meno di due chilometri dall’aeroporto in costruzione. A parte il frastuono al quale saranno sottoposti gli abitanti, sorvolati di continuo da jet urlanti in quantità da incubo, essi vicentini saranno vivacemente irrorati dagli scarichi del carburante a iosa… tutta salute!

“Ci voleva poco – commenta l’autore dell’articolo – a trovare nella nostra penisola qualche spazio più adatto alla bisogna.” Ma ecco che in merito risponde Lutwack, il noto consulente strategico del governo Bush che spesso appare ospite sulle nostre reti televisive, che parla come Stanlio e Olio. (Forse esegue parodia con accento inglese) Egli ammette che sarebbe stato facile trovare un altro spazio meno urbanizzato, ma la scelta di Vicenza è dovuta al particolare che una grande percentuale di militari delle truppe ospitate proviene da università e college prestigiosi, dove ha condotto studi umanistici e d’arte. Per cui essi specificamente hanno richiesto di potersi insediare nei pressi di una città d’arte famosa come la patria del Palladio, onde poter arricchire la propria cultura e godere del piacere insostituibile della bellezza.

Quindi, vicentini, siate orgogliosi per la scelta che hanno fatto le truppe di sfondamento aerotrasportate. Sì, dovrete sopportare qualche fastidio, a partire da un traffico d’inferno, pericolo di contaminazioni radioattive, controlli continui, divieti, rischiare di essere scambiati per terroristi…, ma non si può avere tutto dalla vita: la gloria e pure la tranquillità e il benessere! Quindi godetevi ‘sta pacchia!!! Alleluia!!!

http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=63587

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2.16.2007

Renato Farina, a voi sembra che sia giustizia?

Renato Farina, vice direttore del quotidiano Libero, alias "Agente Betulla" quando fa la spia, accusato di favoreggiamento nel sequestro di persona di Abu Omar, ha patteggiato ed è stato condannato a sei mesi di reclusione.
di Gennaro Carotenuto

La pena di reclusione è stata immediatamente commutata in una multa di 6.800 €uro. Per compiere il reato per il quale è stato condannato, Farina aveva ricevuto dal SISMI (il mitico Pio Pompa, il James Bond italiano) un compenso di (almeno) 30.000 Euro. Faccio il conto della serva e pertanto, pur essendo condannato per favoreggiamento di un sequestro di persona, Renato Farina, l'Agente Betulla, paladino di Bush, Bossi e Berlusconi, ci ha pure guadagnato circa 50 milioni di Lire. A voi sembra che sia giustizia questa?

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2.03.2007

L'effetto serra? C'è anche su Marte

Su Marte non si trovano certo grandi metropoli asfissiate dallo smog e brulicanti di gente. E difficilmente individueremo raffinerie di petrolio quando ci spingeremo a esplorare i gelidi Plutone e Tritone, luna ghiacciata di Nettuno. Neanche è immaginabile aspettarsi su Giove autostrade affollate di vetture avvolte nei fumi dei tubi di scappamento. Eppure questi pianeti, come la Terra, si stanno surriscaldando! Le ultime immagini di Giove scattate dal telescopio Hubble nel maggio 2006 hanno difatti testimoniato la crescita sulla superficie del gigante gassoso di una nuova macchia rossa, simile alla tanto celebre Grande Macchia Rossa, e ribattezzata perciò Giovane Macchia Rossa (Red Spot Jr.). Fu osservata per la prima volta nel 2000, ma negli ultimi 6 anni le sue dimensioni sono notevolmente aumentate.
Le evidenti anomalie cromatiche visibili su Giove sono in realtà dei giganteschi vortici atmosferici che si spingono fin oltre la copertura nuvolosa che avvolge il pianeta. Secondo ricercatori dell’Università della California il veloce e abnorme sviluppo della Giovane Macchia Rossa è indizio di grandi sconvolgimenti climatici in atto su Giove, associati negli ultimi anni a un rapido e intenso riscaldamento, anche di 5 °C, di alcune regioni del pianeta.
Ma c’è anche un altro spettacolare vortice che di recente ha attirato l’attenzione degli astronomi. Su Saturno la sonda Cassini ha fotografato in prossimità del Polo Sud un enorme e insolito uragano, con venti a oltre 550 chilometri orari e un diametro di circa 8000 chilometri, cioè più della distanza che separa Roma e Pechino, mentre il muro di nubi che ruota attorno all’occhio del ciclone si innalza all’interno dell’atmosfera fino a oltre 70 chilometri di quota.

COME DA NOI: PIU' CALDO, URAGANI PIù VIOLENTI Le caratteristiche di questa tempesta, secondo studiosi del California Institute of Technology di Pasadena, potrebbero indicare uno sviluppo simile a quello dei cicloni tropicali sulla Terra: sarebbe cioè la grande disponibilità di calore (nel caso del gelido Saturno, temperature sensibilmente meno fredde rispetto al normale) ad alimentare l’uragano. Del resto sia il telescopio Keck di Mauna Kea sia la sonda Cassini avevano recentemente registrato un riscaldamento di circa 2 °C proprio nella regione del Polo Sud di Saturno.
Il surriscaldamento planetario però non si è fermato ai corpi celesti relativamente più vicini a noi, ma sembra aver raggiunto anche quelli più lontani, perennemente avvolti nel gelo siderale. Come testimoniato da ricerche del Massachusetts Institute of Technology, su Plutone dalla fine degli anni ’80 a oggi la pressione atmosferica è più che triplicata, a causa del graduale innalzamento delle temperature (circa 2 °C) che ha spinto parte dell’azoto surgelato in superficie a evaporare e passare in atmosfera. Su Tritone, invece, il fenomeno è stato ancora più marcato: dal 1989, anno del passaggio della sonda Voyager, la temperatura è passata da circa 200 a 193 gradi sotto zero, tanto che anche la sua atmosfera sta diventando di anno in anno sempre più densa. Se nel caso di Plutone l’aumento delle temperature si può in parte spiegare con la sua lunga orbita di rivoluzione, che lo porta a fare un giro intero attorno al Sole nel corso di 248 anni terrestri e che proprio nell’ultimo decennio lo ha spinto nel punto più vicino alla nostra stella, più difficile è invece trovare una spiegazione al surriscaldamento della luna di Nettuno.
E come se non bastasse, ora è giunta notizia che su Marte, dopo le voragini osservate nelle calotte polari, indizio di un recente scioglimento, la sonda Mars Global Surveyor ha fotografato tracce di erosione del suolo che potrebbero essere prova dell’occasionale scorrimento di acqua. Insomma stiamo assistendo a un riscaldamento che sembra interessare tutto il Sistema Solare.

IL RESPONSABILE? IL SOLE, MA IN MODO INSOLITO
Ma se l’uomo, almeno in questo caso, non ha colpe, chi è il responsabile del riscaldamento interplanetario?
Il maggior indiziato sembra essere il Sole. In effetti siamo spesso erroneamente portati a credere che l’attività della nostra stella sia costante nel tempo, o almeno che subisca variazioni solo su tempi assai lunghi, mentre in realtà l’energia che essa emette verso lo spazio in tutte le direzioni subisce nell’arco di anni e decenni variazioni periodiche percentualmente assai piccole ma comunque in grado di influenzare il clima della Terra. I venti e tutti i principali fenomeni atmosferici si alimentano attraverso il calore che, sotto forma di radiazione elettromagnetica, arriva dal Sole: una quantità di energia che, nel punto in cui raggiunge la nostra atmosfera, è mediamente quantificabile in circa 1367 Watt per metro quadro.
E sono proprio le cicliche variazioni dell’energia emessa dal Sole che, tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo, hanno spinto l’Europa e il Nord America verso un periodo estremamente freddo, noto come Piccola Era Glaciale e culminato tra il 1645 e il 1710 in una fase caratterizzata dall’assenza di macchie solari (nota come Minimo di Maunder) durante la quale il calore che giungeva sulla superficie terrestre era inferiore rispetto a oggi di una quantità tra lo 0,2 e lo 0,7 per cento. Nel corso dell’ultimo secolo invece l’attività del Sole è andata progressivamente crescendo e ha così contribuito all’aumento delle temperature sulla Terra. E mai negli ultimi 1150 anni il Sole ha emesso tanta energia come ai giorni nostri. In particolare ricercatori dell’Earth Institute della Columbia University americana, analizzando i dati raccolti da 6 diversi esperimenti con satelliti di NASA, NOAA ed ESA, hanno recentemente evidenziato un aumento dell’ordine di circa 0,05 per cento per decennio, a partire dal 1978, della TSI, sigla che corrisponde alla Total Solar Irradiance, ovvero l’energia elettromagnetica che la Terra riceve dal Sole su tutte le lunghezze d’onda.
Ma può bastare il Sole per spiegare un così evidente aumento di temperatura anche nei pianeti ai confini del Sistema Solare? Forse sì, soprattutto alla luce di una recente ricerca di Adriano Mazzarella, responsabile dell’Osservatorio Meteorologico dell’Università di Napoli Federico II. Secondo questa ricerca, oltre alla radiazione elettromagnetica, cioè luce e calore, anche le particelle cariche emesse dal Sole assumono un ruolo importante nell’influenzare il clima terrestre. I gas a temperature altissime della parte più esterna dell’atmosfera solare, la corona, fuggono in parte verso lo spazio, dando origine al vento solare: getti turbolenti di particelle cariche, per lo più protoni, elettroni e nuclei di elio che si propagano a gran velocità in tutte le direzioni. Questo flusso, interagendo con il campo magnetico terrestre, dà origine non solo a fenomeni spettacolari quali le aurore polari, ma è anche causa di serie difficoltà nelle comunicazioni: il 29 ottobre 2003, per esempio, il Sole sparò miliardi di tonnellate di particelle elettricamente cariche verso la Terra a una velocità di oltre sei milioni di chilometri l’ora. L’impatto di questa grandinata di particelle sul campo magnetico terrestre diede origine alla più grande tempesta geomagnetica mai misurata sulla Terra, responsabile tra l’altro di un black out della rete Gps che durò diverse ore.

TRE FENOMENI PER L’EFFETTO SERRA TERRESTRE
La ricerca di Adriano Mazzarella ha ora evidenziato una serie di cicli ricorrenti, lunghi 60 anni, in una serie di parametri atmosferici e geofisici, utilizzando i dati dal 1868 a oggi: la turbolenza del vento solare, la durata del giorno misurata tramite la differenza tra la durata teorica del giorno, 86.400 secondi, e quella calcolata astronomicamente, la temperatura dell’aria dell’emisfero settentrionale e l’intensità delle correnti occidentali, misurata tramite il dislivello di pressione atmosferica tra le latitudini di 35° Nord e 55° Nord.
Ma come si legano fra loro questi parametri? L’analisi del ricercatore ha prodotto una spiegazione basata su fenomeni a cascata. Un graduale aumento della turbolenza del vento solare, attraverso perturbazioni del campo geomagnetico, potrebbe influenzare i movimenti all’interno del nucleo terrestre, dove si originano le linee di flusso del campo magnetico. A causa delle interazioni tra nucleo esterno, che è fluido, e mantello terrestre, che circonda il nucleo esterno ed è solido, ciò potrebbe riflettersi in una diminuzione della velocità di rotazione della Terra. Se la Terra ruota più lentamente aumenta però la durata del giorno, sia pure di decimi di millisecondo, e questo processo è a sua volta in grado di causare un’accelerazione delle correnti atmosferiche che fluiscono prevalentemente lungo i paralleli, dette correnti zonali.
Poiché l’energia cinetica del sistema Terra–atmosfera nel suo complesso deve rimanere costante, se il Pianeta rallenta il suo moto di rotazione le masse d’aria devono quindi muoversi più velocemente. Correnti zonali più intense rendono però più difficili gli scambi di masse d’aria dalle basse verso le alte latitudini e viceversa, e quindi viene rallentata anche la propagazione del calore accumulato nella fascia tropicale verso i poli: il risultato è una diminuzione della temperatura media del Pianeta. Viceversa, nei periodi in cui la turbolenza solare tende a diminuire, la velocità di rotazione aumenta, la durata del giorno diminuisce, le correnti zonali si fanno più deboli e, grazie a una più efficace distribuzione del calore, le temperature medie del Pianeta crescono.
Ma allora, se negli ultimi anni la turbolenza solare è aumentata, perché la Terra non si raffredda? In realtà tra aumento o diminuzione della turbolenza solare e conseguenti variazioni della durata del giorno c’è uno sfasamento di qualche anno e lo stesso avviene nel passaggio che porta all’aumento o diminuzione delle temperature. Considerando tali ritardi, un graduale aumento della turbolenza del vento solare diviene responsabile di una diminuzione della temperatura dell’aria a livello planetario dell’ordine di circa 0,2 °C ma con un ritardo di 25–30 anni, seguita poi nei 25–30 successivi da una diminuzione delle temperature pressoché eguale.
Queste variazioni però si sommano al costante riscaldamento del nostro Pianeta imposto sia dall’effetto serra di origine umana, sia dall’aumento di calore emesso dal Sole: ci sono quindi periodi in cui la turbolenza del vento solare contribuisce ad accelerare il riscaldamento del Pianeta, e altri in cui invece tende a frenarlo. In particolare, poiché la diminuzione della turbolenza solare dei decenni passati ha fatto sì che negli ultimi anni la durata del giorno sia andata diminuendo, con un conseguente indebolimento dell’intensità media delle correnti zonali, nel prossimo futuro ci attendono probabilmente altre annate di caldo record.

UN 2007 ROVENTE ANCHE IN ITALIA
Agli inizi di gennaio l’ufficio meteorologico inglese ha lanciato l’allarme: il 2007 sarà l’anno più caldo di sempre! Secondo i ricercatori inglesi c’è il 60 per cento di probabilità che le temperature medie del nostro Pianeta quest’anno risultino eguali o superiori a quelle delle annate record del 2005 e 1998. In effetti due fenomeni, su tutti, potrebbero spingere il 2007 verso picchi di caldo mai toccati prima: il riscaldamento globale ed El Niño. Il primo fenomeno, causato sia dalla maggior attività del Sole (negli ultimi 1000 anni mai così «caldo» come ai giorni nostri) sia dalle emissioni di CO2, ha subito un’accelerazione proprio nell’ultimo trentennio: il ritmo di riscaldamento della Terra durante il XX secolo è stato di circa 0,06 °C per decade ma negli ultimi 25–30 anni è bruscamente balzato a circa 0,18 °C per decade. Una tendenza testimoniata dal fatto che dal 1880 a oggi le cinque annate più calde di sempre sono tutte concentrate nell’ultimo decennio.
Il surriscaldamento si è fatto sentire soprattutto alle medio–alte latitudini, Italia compresa: dall’analisi del Centro Epson Meteo in base ai dati registrati in 62 località italiane risulta difatti che le temperature medie di questi primi anni del nuovo millennio sono più di un grado superiori a quelle tipiche della prima metà degli anni ’80. Insomma, la tendenza al forte surriscaldamento dell’ultimo decennio lascia pensare che il 2007 sarà comunque un anno molto caldo, mentre la spinta necessaria a battere il record potrebbe arrivare dal Niño, ovvero dall’anomalo riscaldamento di gran parte dell’Oceano Pacifico Tropicale. Già da qualche mese è in atto un moderato episodio di Niño che, secondo il centro di previsioni climatiche dell’ente americano per l’atmosfera e oceani (NOAA), dovrebbe raggiungere l’apice proprio in questo febbraio, per poi cominciare lentamente a indebolirsi.
Tuttavia, tutti i maggiori centri di ricerca americani ed europei concordano nel prevedere che almeno fino a maggio le temperature superficiali del maggiore dei nostri oceani rimarranno più calde del normale: in tal modo però trasmetteranno calore anche agli strati atmosferici di una regione molto vasta che, dalla Nuova Guinea alle coste dell’Ecuador, si estende per più di 10.000 chilometri!
In Italia invece El Niño farà sentire i suoi effetti soprattutto durante la prossima estate: i profondi sconvolgimenti della circolazione generale dell’atmosfera che lo accompagnano difatti durante la stagione estiva solitamente spingono con maggior frequenza e insistenza (come già accaduto nelle estati caldissime del 1994, 1998 e, soprattutto, 2003) sulla nostra Penisola il rovente anticiclone africano che, oltre alla calura, porta anche forte siccità. Inoltre quest’anno ad aiutare l’avanzata dell’alta pressione africana contribuirà anche la periodica inversione della direzione dei venti stratosferici tropicali: i venti quest’estate soffieranno difatti da Est verso Ovest, indebolendo le correnti occidentali che, negli strati più bassi dell’atmosfera, spingono le perturbazioni atlantiche verso l’Europa e contrastano la risalita dell’anticiclone africano verso l’Europa.

Andrea e Mario Giuliacci
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Scienze_e_Tecnologie/2007/02_Febbraio/02/newton.shtml

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