3.31.2007

La Puglia dei veleni

Inchiesta sulla regione a più alta concentrazione tossica. Fra Taranto e Brindisi gli impianti che producono il 30 per cento della diossina in Italia e 36 milioni di tonnellate di gas. È qui il buco nero dell'inquinamento in Europa


Nell'immaginare un vestito verde per l'Europa, in sintonia con la regina mitologica che le regala il nome e che fu rapita da Zeus mentre raccoglieva fiori, la cancelliera tedesca Angela Merkel chissà se ha pensato anche alle scarpe. L'Europa geografica calza uno stivale (l'Italia) con un tacco nero (la Puglia) che sarebbe adatto per una serata di gala ma che stride con i colori arcobaleno di un'anziana signora (il Vecchio Continente) che si vorrebbe ecologicamente virtuosa. Gli obiettivi Ue si proiettano oltre Kyoto, prevedono una riduzione del 20 per cento di anidride carbonica e di consumo di energia elettrica entro il 2020. La direttiva che sarà emanata il prossimo settembre avrà valore obbligatorio e vincolante, pena una citazione degli inadempienti alla Corte di giustizia.

Mentre tutto questo si discute a Bruxelles, quaggiù in periferia, sul tacco impolverato da ogni genere di inquinante diossina compresa (sì, diossina come a Seveso) ci si arrovella semmai sul modo per eludere i vincoli e i piani di avvicinamento a Kyoto (entro il 2012 il 6,5 per cento in meno dell'anidride carbonica sparata in aria). E sarebbe il luogo dove c'è più bisogno, di Kyoto, visto il terrificante risultato di una gara in cui vinceva il peggiore. Primo, secondo e terzo posto, podio tutto pugliese nella classifica dei dodici impianti italiani che producono più anidride carbonica, responsabile dell'effetto serra e dunque del surriscaldamento del Pianeta. Nell'ordine: centrale termoelettrica Enel di Brindisi sud 15.340.000 tonnellate l'anno di CO2; Ilva di Taranto 11.070.000; centrali termoelettriche Edison di Taranto 10.000.000. I dati sono del 2005, gli ultimi disponibili, e li ha raccolti l'Eper-Ines. Gli acronimi stanno per European Pollutant Emission Register e per Inventario Nazionale delle Emissioni e Loro Sorgenti, cioè l'organismo europeo e quello statale.
Legambiente li ha elaborati e diffuso di recente. Si trattasse poi solo di anidride carbonica. La stessa Eper nel 2002 aveva detto di peggio. Degli 800 grammi di diossina che finiscono nell'aria europea ogni anno, 71 escono dagli impianti dell'Ilva e sono pari all'8,8per cento del totale europeo e al 30,6 di quello italiano. L'anno prima lo stesso organismo aveva citato in un dossier ancora l' Ilva per il monossido di carbonio (10,2 per cento del totale) e l'Enipower di Brindisi (13,7 per cento delle emissioni di zinco).

L'ottimismo della volontà potrebbe far pensare che da quegli anni censiti le cose sono migliorate. Il pessimismo della ragione fornisce una risposta lapidaria: no, semmai il contrario. Ed è un pessimismo che poggia su valutazioni oggettive ma non su cifre perchè i dati, e anche questo è clamoroso, non ci sono. Ci saranno, ma non ci sono. Il professor Giorgio Assennato, direttore generale dell'Arpa Puglia, quando è stato nominato dalla nuova giunta di centrosinistra ha trovato, nelle zone più critiche, controlli praticamente inesistenti e un personale ridotto all'osso (una ventina di persone a Brindisi e Taranto, l'asse critico).

L'assessore all'Ambiente Michele Losappio, di Rifondazione comunista, riassume: "L'Arpa aveva 200 dipendenti scarsi quando la pianta organica ne prevede 800. Stiamo provvedendo a completarla". E sono stati anche stanziati 3 milioni di euro per iniziare il lavoro. Che si annuncia complicato. Nel vuoto attuale può succedere che il bresciano Emilio Riva, il proprietario dell'Ilva, invochi uno studio del Cnr per quanto riguarda la diossina. Però nemmeno ci si prova a contestare le emissioni di anidride carbonica e anzi prende carta e penna e scrive a chiunque abbia un ruolo, da Prodi in giù, per minacciare un taglio di 4.000 dipendenti (su circa 12.000) nel caso debba rispettare Kyoto e ridurre il carico inquinante. Lo hanno assecondato e l'anidride carbonica, dice il governo, sarà tagliata altrove. Potenza della siderurgia in ripresa sul mercato mondiale tanto che l'Ilva è passata in breve da 6 a 10 milioni di tonnellate di acciaio prodotto e c'è da scommettere che nel 2007 andrà ancora meglio perché Riva ha chiuso, dopo una lunga battaglia ambientalista, il suo stabilimento a Cornigliano (Genova) e conta di trasferire i reparti che producono "a caldo", i più pericolosi, in Puglia: altri 2,5 milioni di tonnellate.
Questo Riva sta collezionando condanne per inquinamento, l'ultima è di metà febbraio, tre anni in primo grado più l'interdizione dall' attività industriale per lo stesso periodo. Il ricatto occupazionale e la scarsa sensiblità ecologica (eufemismo) lo hanno reso particolarmente odioso alla parte più dura dell'ambientalismo. Che accusa il presidente Nichi Vendola di intelligenza col "nemico". La giunta insediata nel 2005, non avendo scheletri nell'armadio sul tema, invece procede guidata dalla stella polare della coniugazione tra idealità e pragmatismo. Convinta com'è che è meglio avviare un confronto e imporre delle regole certe laddove c'era solo anarchia. L'Ilva chiede di costruire una nuova centrale termoelettrica da 600 megawatt? Discutiamo, ma in cambio chiuda quella obsoleta che sta dentro i suoi confini (tre quinti del territorio comunale, 15 milioni di metri quadrati) ed è gestita dalla Edison. L'Eni vuole raddoppiare le sue capacità produttive investendo un miliardo di euro e diminuendo l'inquinamento? Discutiamo, vediamo se sul piano c'è il conforto di un parere tecnico.

L'atteggiamento possibilista si scontra con le reazioni estreme di chi troppe ne ha subìte, nel corso del tempo, e non crede più ai compromessi. Come Alessandro Marescotti, di Peacelink, il quale ricorda i tempi in cui i suoi amici neopatentati che abitavano ai Tamburi (il quartiere più vicino allo stabilimento) si presentavano orgogliosi con auto nuove fiammanti la cui carrozzeria veniva corrosa dopo pochi mesi. Difetti di fabbrica? No, inquinamento. Era trent'anni fa. E poi quel cielo che azzurro non è mai, nonostante la latitudine, e ha sempre tutte le sfumature cromatiche del rosso di giorno per virare sul giallo di notte, quando due torce sempre accese segnalano che la produzione continua. Marescotti sottolinea come, dati Arpa (tra i pochi che ci sono), i picchi di inquinamento si registrano proprio tra le 2 e le 3 del mattino. Si è potuto stabilire con una certa approssimazione che ogni abitante si fuma "anche se non è un tabagista" il corrispettivo di sette sigarette al giorno. Stando all'ultimo rapporto Apat 2006 (Agenzia di protezione dell'ambiente) il 93 per cento dell'inquinamento deriva dall'industria e solo il restante 7 da emissioni civili: la percentuale più sbilanciata d'Italia.

Taranto è ultima per la classifica del 'Sole 24 Ore' in quanto ad ambiente. I 1.200 decessi annui per neoplasie la collocano nettamente sopra la media nazionale. Insomma c'erano tutti i motivi per dichiararla città ad alto rischio ambientale, come è successo. Nove sono gli impianti critici e in tanto degrado ci mancava pure la discussione sul rigasificatore da collocare nel Golfo. Vendola aveva detto no a Brindisi ("sarebbe criminale") e i tarantini hanno cominciato a temere per via di una richiesta avanzata dalla Gas Natural che ha fatto imbufalire, tra gli altri, Leo Corvace coordinatore del comitato per il 'no'. Per descrivere uno scenario apocalittico, i contrari adattano a Taranto un'ipotesi prevista da Piero Angela nel suo ultimo libro.

Ammettiamo che una nave metanifera che trasporta 125 mila metri cubi di gas liquefatto si spezzi per un incidente, come ad esempio la collisione con un sottomarino (è successo a Barcellona nel 2002), il gas si espande, evapora, forma una nube di metano che a contatto con una scintilla esplode (qui ci sono le due torce sempre accese): avrebbe la forza di un megaton, come un milione di tonnellate di tritolo. Ci sarebbero decine di migliaia di morti. Brividi. E ancora peggio andrebbe se fosse coinvolto un sottomarino nucleare. Incrociano in queste acque? L'assessore Losappio nulla ne sa. Marescotti ne è convinto. Comunque sul rigasificatore nessuna certezza e una cauta marcia indietro anche da parte di Vendola dopo la bocciatura esplicita di Brindisi. Dove, per le concessioni già erogate alla British gas, a fine febbraio scorso è stato rimesso agli arresti l'ex sindaco Giovanni Antonino. Sul versante adriatico della Puglia ancora si leccano le ferite del Petrolchimico e in un porto che dovrebbe essere commerciale c'è troppo viavai di carbone per alimentare le centrali. Immaginarsi aggiungere le navi metanifere.

L'assessore al Turismo Massimo Ostilio, Udeur, usa la terminologia che gli era familiare quando era sottosegretario alla Difesa: "Circa l'ambiente, abbiamo bisogno di una exit strategy. E bisogna seminare subito se vogliamo raccogliere qualche frutto tra dieci anni". Exit strategy, come se si trattasse di una guerra. Il suo collega Losappio cerca di tracciare una strategia realista: "Abbiamo ereditato una Puglia che è, con tutta evidenza, il tacco nero d'Europa. Farlo bianco sarà impossibile. Vediamo almeno di renderlo grigio".
di Gigi Riva da L'espresso

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3.30.2007

L'energia in Italia

Sensibile riduzione dell’intensità energetica, incremento della quota delle fonti rinnovabili e dei combustibili solidi sul totale della domanda in fonti primarie, flessione del consumo dei prodotti petroliferi e del gas naturale, nuovo record assoluto della fattura energetica, che ha sfondato quota 50 miliardi di euro in termini correnti, mentre ad euro costanti (valori 2006) solo il dato del 1981 (52,89 miliardi di euro) appare più elevato.
Queste sono le principali caratteristiche dell’evoluzione congiunturale dell’energia in Italia nel corso del 2006, emerse durante l’ormai tradizionale convegno “Il settore energetico nel 2006: situazioni e tendenze”, organizzato a Roma, il 27 febbraio, dall’Associazione Italiana Economisti dell’Energia (AIEE).

A livello complessivo, nell’anno appena trascorso, i consumi di energia primaria hanno rallentato la loro corsa, passando da 194,4 Mtep a 192,6 Mtep (-0,9%), ciò a causa non solo degli alti prezzi dell’energia, con un prezzo del Brent che nel giro di sei anni è cresciuto di oltre 60 $/b, ma anche dei fattori climatici, che hanno anche fatto sì che non si realizzasse la famosa “emergenza gas”. Anzi il decreto che obbligava le società di massimizzare i flussi delle importazioni messo a punto dal Ministero dello Sviluppo Economico è stato bloccato a febbraio perché non c’era più capacità ricettiva di interconnessione e di stoccaggio e i consumi non assorbivano questi flussi in eccesso.
E’ interessante notare che il peso della fattura petrolifera sul Pil si è attestato intorno all’1,9% contro un 5,4% registrato nel 1981, mentre il peso della fattura energetica sul Pil è stato 3,4% contro un 6,3%, a dimostrazione del peso inferiore che ricopre il petrolio nel panorama energetico nazionale e dell’emergere di un’altra fonte importante nel panorama energetico nazionale: il gas naturale.

Dinamiche che si inseriscono in un quadro di politica energetica nazionale, presentato da Edgardo Curcio, Presidente dell’AIEE, sempre alla ricerca di certezze. Ciò che emerge è che nonostante il 2006 si sia chiuso all’insegna dei buoni propositi, tra cui il disegno di legge sulle liberalizzazioni e le nuove norme sul risparmio energetico e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, riscontriamo, ancora una volta, una completa mancanza di indirizzi di politica energetica su come affrontare i grandi temi della sicurezza, diversificazione ed economicità del nostro approvvigionamento di energia. Resta inoltre irrisolto il grave problema di come ridurre, nei prossimi anni le nostre emissioni di gas serra per rientrare (o avvicinarsi) ai parametri di Kyoto.

E per il 2007? Lo scenario per il 2007, presentato da Vittorio D’Ermo, Direttore Osservatorio Energia AIEE, si prospetta meno brillante di quanto previsto a fine anno, con un fabbisogno di petrolio Opec in aumento a causa di un ridimensionamento delle prospettive della produzione non-Opec. Circostanze che potrebbero facilitare le spinte al rialzo, soprattutto in occasione delle punte stagionali di domanda come la consueta fase di forte richiesta di benzina negli Usa in estate, senza considerare l’imponderabilità di particolari situazioni di tipo geopolitico. Le spinte al rialzo potrebbero essere comunque contrastate da una crescita della domanda inferiore a quanto previsto dalla IEA, proprio grazie a quel costante incremento delle temperature medie che alimenta le paure dell’effetto serra.

Manuela Gusmerotti
Associazione Italiana Economisti dell'Energia (AIEE)


Scarica le seguenti relazioni presentate al convegno AIEE:

qualenergia.it
30 marzo 2007

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3.29.2007

Conto Energia: in attesa della delibera dell'AEEG

Tra circa un mese sarà possibile inviare le domande per gli incentivi alla produzione di energia fotovoltaica.

E' già trascorso più di un mese da quando il nuovo Conto Energia è stato emanato. Il Decreto Ministeriale 19/02/2007 è stato infatti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 febbraio scorso ed è entrato in vigore il 24 febbraio.

Quest'ultima data è importante perchè a partire da essa decorrono i 60 giorni entro cui l'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) deve emanare un provvedimento (come previsto art. 10, comma 1 del DM 19 febbraio 2007) che stabilisca modalità, tempi e condizioni per l'erogazione delle tariffe incentivanti e del premio, aggiornando i precedenti provvedimenti relativi ai decreti 28 luglio 2005 e 6 febbraio 2006.

Qualche giorno dopo la pubblicazione del DM 19 febbraio 2007, il Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) ha invitato i soggetti che intendano usufruire del Conto Energia, a presentare le richieste di concessione delle tariffe incentivanti solo dopo l�adozione della Delibera dell'AEEG, che arriverà entro il 25 aprile 2007. il GSE aggiunge che le domande presentate prima dell'entrata in vigore della Delibera non saranno prese in considerazione.

Il GSE sottolinea inoltre che è possibile richiedere le tariffe incentivanti entro 90 giorni dall'entrata in vigore della Delibera per tutti gli impianti entrati in esercizio fra il 1� ottobre 2005 e la data di entrata in vigore della suddetta delibera, purchè gli impianti siano realizzati nel rispetto dei decreti 28 luglio 2005 e 6 febbraio 2006, e non beneficino e non abbiano beneficiato delle tariffe di cui ai medesimi decreti.

Il GSE, confermato dal decreto "soggetto attuatore" della procedura di incentivazione, ha diffuso un documento che illustra la situazione attuale e le novità introdotte dal Decreto 19 febbraio 2007. Ha, inoltre, pubblicato sul sito i dati - aggiornati al 1� marzo 2007 - relativi agli impianti in esercizio ammessi all'incentivazione ai sensi dei DM 28 luglio 2005 e 6 febbraio 2006. Consulta i dati

Ricordiamo che il decreto "Nuovi criteri per l�incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare in attuazione dell�articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387" fissa le tariffe da un minimo di 36 ad un massimo di 49 centesimi di euro per kWh prodotto, innalzandole rispetto alla normativa previgente.

Altra novità riguarda la certificazione energetica dell'edificio, richiesta solo per avere diritto al premio aggiuntivo (art. 7) e non più requisito per accedere alle tariffe incentivanti. E' previsto un ulteriore aumento dell'incentivo, anche fino al 30%, per i piccoli impianti che alimentano le utenze di edifici sui quali gli interessati effettuano interventi di risparmio energetico adeguatamente certificati.

E' stato introdotto un incremento del 5% delle tariffe incentivanti per le scuole pubbliche, gli ospedali pubblici e gli impianti integrati negli edifici e installati in sostituzione di coperture contenenti amianto e per gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.

Modificato anche l'obiettivo nazionale di potenza fotovoltaica da installare: dai 2000 MW entro il 2015, previsti dalla bozza precedente, si è passati a 3000 MW entro il 2016.

www.edilportale.it

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3.28.2007

Il risparmio energetico del futuro? Soprattutto nei consumi domestici

L'adozione di politiche di efficienza e risparmio energetico potrebbe portare a una forte riduzione dei consumi soprattutto nel settore residenziale: lo afferma lo studio "Energia, Efficienza e Consumo in Italia" del Centro Studi Economici dell'Università Tor Vergata.

L'adozione di politiche di efficienza e risparmio energetico può portare a una forte riduzione dei consumi non tanto nel settore dell'industria, dei trasporti o dei servizi ma soprattutto nel settore residenziale e dei consumi domestici, che rappresentano l'ambito "di maggiore efficacia per politiche di risparmio energetico fin dal breve-medio periodo". Sono i risultati cui è giunto il Rapporto del Centro Studi Economici dell'Università di Tor Vergata su "Energia, Efficienza e Consumo in Italia". Lo studio è stato presentato oggi a Roma nell'ambito del convegno "L'efficienza energetica. Quale ruolo per i consumatori?", organizzato dal CEIS di Tor Vergata e dalla Q8.

Il consumo energetico in Italia, al 2005, è ripartito per il 34% nei trasporti, per il 32% nell'industria, per il 22% nel residenziale e per il 12% nel terziario. In tema di efficienza energetica, l'ENEA ha sviluppato una serie di proiezioni - illustrate da Luigi Paganetto, presidente CEIS Tor Vergata - sui risparmi energetici da ora al 2030, ipotizzando interventi molteplici che riguardano sia l'efficienza energetica sia l'uso di fonti rinnovabili. Secondo tali scenari a legislazione corrente l'industria è il settore con la crescita minore nei consumi energetici (pari al 24%) e l'adozione di politiche energetiche potrebbe portare a un miglioramento e alla sostanziale stabilità dei consumi. I trasporti rappresentano invece il settore a maggiore crescita di consumi energetici (+38%) ma anche in presenza di politiche energetiche - afferma lo studio - la riduzione dei consumi è difficile nel medio periodo. I servizi rappresentano un settore a crescente consumo di energia ma la riduzione dei consumi è difficile, secondo gli scenari elaborati, anche applicando politiche per il risparmio energetico. Gli scenari ipotizzati nello studio affermano invece che, se nel residenziale l'aumento dei consumi risulta piuttosto modesto, "applicando politiche per il risparmio energetico, la riduzione dei consumi può essere molto significativa fin dal medio periodo". Ma come sono ripartiti i consumi energetici nel settore residenziale? Per il 70% se ne vanno in riscaldamento, per il 15% in usi elettrici obbligati, per il 10% in acqua calda e per il 5% in usi cucina. Naturalmente - sottolinea lo studio - la riduzione dei consumi energetici stimata dipende dai tempi e dalle modalità di sostituzione delle apparecchiature esistenti con altre a maggiore efficienza.

Interventi di efficienza e risparmio energetico nel riscaldamento prevedono ad esempio la sostituzione dei vecchi impianti con caldaie ad alta efficienza, l'installazione di valvole termostatiche nei radiatori delle abitazioni per mantenere costante la temperatura e la soluzione dei problema delle dispersioni; per l'acqua calda, la sostituzione dello scaldabagno elettrico con caldaia a metano e l'integrazione del sistema elettrico con l'impianto solare; per i consumi energetici, l'acquisto di elettrodomestici con etichettatura energetica (Ecolabel), l'installazione di lampade a risparmio energetico e l'uso efficiente delle apparecchiature elettroniche. Ipotizzando questi interventi a diversi livelli di sostituzione tecnologica (da una bassa sostituzione tecnologica a una media e a una alta) si potrebbero avere, ha detto Giovanni Tria, Direttore CEIS, risparmi energetici complessivi che vanno da un minimo del 49% fino al 73% in una situazione ideale. Nell'ipotesi che ci sia una progressiva sostituzione dei dispositivi esistenti con tecnologie a media e alta efficienza energetica, la riduzione dei consumi di energia sarebbe molto alta nel riscaldamento e nella produzione di acqua calda. Il maggior risparmio energetico si avrebbe sulla voce del riscaldamento. La famiglia tipo, nell'ipotesi "del tutto ideale" di raggiungimento immediato di efficienza energetica, potrebbe raggiungere un risparmio energetico di oltre il 70%. Mentre nell'ipotesi "più realistica" di passaggio a un livello di bassa sostituzione tecnologica il risparmio sarebbe di circa il 49%.

L'approccio del convegno è stato dunque di puntare l'attenzione sul ruolo del cittadino-consumatore in tema di risparmio energetico. All'iniziativa è intervenuto fra gli altri il presidente e amministratore delegato di Kuwait Petroleum Italia Alessandro Gilotti. In tema di distribuzione dei carburanti, "credo - ha commentato - che in questa fase di discussione sulle liberalizzazioni in Italia, si debba cercare di rendere attuabili modelli distributivi che coniughino la necessità della massima efficienza energetica con quella della soddisfazione delle esigenze del consumatore. Per ottenere questo obiettivo non serve replicare modelli esterofili né privilegiare nessun particolare modello o nessun operatore, ma si deve liberalizzare completamente il sistema affinché tutti gli operatori del settore abbiano la flessibilità di proporre i loro modelli di petrolretailing siano essi completamente serviti o completamente automatizzati. Se tali modelli saranno in grado di far valere e contabilizzare tutti gli aspetti di costo energetico, ambientale di sicurezza e salute, saranno gli stessi consumatori a decretare quali di questi risulteranno vincenti".

"Fare di più con meno - ha commentato il presidente di Greenpeace Italia Walter Ganapini in riferimento al risparmio energetico - è una delle poche armi che abbiamo rispetto al riscaldamento globale e al cambiamento climatico globale". Il convegno è stato accompagnato da una tavola rotonda cui hanno partecipato, fra gli altri, Bruno Tabacci (Udc), Maurizio Beretta (Direttore Generale di Confindustria), rappresentanti dell'Antitrust e di Cittadinanzattiva e Sergio Cherubini, dell'Università Tor Vergata. Secondo quest'ultimo, quello che interessa al consumatore sono soprattutto i servizi: già nel 1977 - ha detto - si svolse la campagna "risparmiare si può" e i risultati furono modesti nel breve termine ma con maggiori effetti nel medio e lungo termine. Il consumatore del 2007 è diverso, ha detto Cherubini, e oggi ci sono quattro tipologie di consumatori: gli interessati al low cost, gli interessati all'high service, quelli non disposti alla partecipazione e quelli disposti alla partecipazione. I consumatori perciò, ha aggiunto, non sono interessati solo al prezzo o agli incentivi ma spesso subentra l'ambito della "comunicazione dialogata". E fondamentale - è stato sottolineato nella tavola rotonda - è anche una adeguata informazione.

2007 - redattore: BS

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Bioedilizia: la Scuola Edile di Lecce guarda avanti

nche la Scuola Edilizia della Provincia di Lecce si sta attrezzando per adeguarsi alle richieste del mercato che guarda sempre con maggior attenzione la bioedilizia e l’energia da fonti rinnovabili. Il presidente della scuola leccese, Nicola Delle Donne, ci anticipa che “in collaborazione con Formedil Italia, Formedil Puglia e la Facoltà di Ingegneria dell’Innovazione dell’Università di Lecce, stiamo strutturando dei progetti di ricerca per la produzione di formazione, quindi di specialisti nel settore immobiliare della costruzione di case ad autosufficienza energetica”. Delle Donne poi ricorda che “la Scuola Edile della Provincia di Lecce è la prima scuola d’Italia ad installare sulla propria sede un tetto fotovoltaico che sarà presto inaugurato. Noi vediamo in questa svolta energetica una grande opportunità sia per le nostre aziende che i per i nostri lavoratori. Il nostro Ente, che è co-gestito e quindi co-finanziato dai lavoratori e dalle aziende, ha un senso se riesce a dare risposta a chi lo finanzia e ci ha creduto anche in tempi non sospetti. Siamo convinti che la bioedilizia possa essere un volàno di sviluppo per tutto il territorio visto che oltre al sole (“che utilizziamo poco”) possiamo contare sui migliori lavoratori edili d’Italia e forse d’Europa. È chiaro, però, che, dal vecchio sistema di costruire, bisogna ora adeguarsi a quelle che sono le nuove esigenze del mercato della bioedilizia, del risparmio energetico e della produzione dell’energia. Noi vorremmo essere attori principali nella formazione di queste nuove figure. Siamo convinti di poterlo fare perchè abbiamo le qualifiche e le carte in regola per farlo così come abbiamo continuamente dimostrato fornendo al territorio una specializzazione di altissimo livello”. Ma qual è, oggi, lo stato di salute dell’intero settore dell’edilizia salentina? “Sono sinceramente preoccupato. I dati che abbiamo non sono assolutamente confortanti. Il settore immobiliare negli ultimi anni, tutto sommato, ha tenuto. Ma sappiamo bene che la ciclicità del sistema non può garantire lo sviluppo. Anzi, dovremmo attenderci un fisiologico calo. Il comparto in affanno è, invece, quello strutturale, vale a dire l’edilizia pubblica. Ed è un affanno che ormai dura fin dal 1992 e mai l’edilizia strutturale aveva conosciuto una crisi così lunga. La preoccupazione è fortissima perché ci sono meno investimenti dello stato, meno investimenti in infrastrutture, strade, fognature, ecc. E questo vuol dire meno sodi che girano con gravi disagi per tutto l’indotto che ruota intorno al settore. Con i POR 2007-2013 probabilmente avremo l’ultimo periodo di grazia… ma non so fino a che punto si possano fare i salti di gioia visti il gran numero di imprese edilizie presenti sul territorio e il basso numero di investimenti”. Come se ne potrà uscire? “Reinventandoci un lavoro. Quindi specializzandoci nel recupero del patrimonio immobiliare, immenso, che abbiamo sul territorio. E comunque bisogna cogliere anche le opportunità dateci dai mercati esteri. Orami abbiamo un numero di imprese talmente elevato, anche se spesso sottodimensionato, che necessita di una spinta per cogliere l’opportunità commerciale dell’Est Europa e del Bacino del Mediterraneo. Otterrà risultati chi avrà maggior coraggio e voglia di osare”.

Giuseppe Cerfeda www.ilgallo.org

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Energia, si rafforza la cooperazione Ue-Usa

Durante la sua visita a Washington DC, subito dopo l’adozione della politica energetica europea ed alla vigilia del prossimo summit Ue/Usa, il commissario Ue all’energia Andris Piebalgs (Nella foto) si è felicitato per il rafforzamento della cooperazione con gli Stati Uniti nel campo dell´approvvigionamento energetico e della sua sicurezza.

In seguito alla dichiarazione del 2006 sul rafforzamento della cooperazione strategica per l’energia, la Commissione Ue ha lavorato in collaborazione stretta con le autorità statunitensi su un largo spettro di questioni relative all’energia, in particolare sulla ricerca, vista come elemento chiave da ambedue le parti, ed in particolare sullo sviluppo di biocarburanti e l’efficacia energetica.

Dopo l’incontro con Bodman, segretario di stato Usa all´energia, Piebalgs ha detto: «sono contento di constatare i progressi che abbiamo compiuto, in particolare nel senso di stabilire un approccio comune sulla questione dei biocarburanti, in particolare i biocarburanti di seconda generazione. Les nuove tecnologie non sono però che una parte della soluzione. L´utilizzo efficace dell´energia è ugualmente un elemento chiave e penso che sia in questo campo che l’Ue ha molto da offrire in tema di esperienza e di buone pratiche».

Durante il summit di Vienna del giugno 2006, Ue ed Usa convennero di mettere in atto una cooperazione strategica per contribuire così alla sicurezza mondiale in campo energetico, una cooperazione bilaterale che ora viene rafforzata dall’intesa su: biocarburanti, tecnologie del carbone pulito e stoccaggio del carbonio, efficienza energetica, recupero del metano.

greenreport.it

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3.27.2007

Energia dal vento, Italia in netto ritardo per ora è la burocrazia a soffiare più forte


Non urla slogan, preferisce usare timbri e carta bollata. Non fa sit-in per bloccare strade e ferrovie, ma è in grado comunque di fermare colossi come l'Enel. Se le proteste dei piccoli comitati ambientalisti contro l'eolico conquistano spesso i titoli dei giornali, in realtà il loro ruolo nel rendere in salita il percorso verso una rivoluzione del sistema energetico italiano è tutto sommato limitato.

Il vero nemico, almeno in questa fase, è la burocrazia: da un lato soffoca le iniziative sotto il peso dei suoi mille cavilli e regolamenti diversi da regione a regione; dall'altro non si è invece ancora dotata di quelle poche regole in grado di snellire le procedure e far emergere i progetti migliori. E' questo il grido d'allarme emerso dagli addetti ai lavori che hanno preso parte a "Energetica 2007", il convegno organizzato da Somedia e Repubblica sul futuro delle fonti rinnovabili in Italia.

Se la sfida dello sviluppo sostenibile e l'urgenza della lotta ai cambiamenti climatici sono finalmente riusciti a scavalcare gli angusti confini del dibattito interno al mondo ambientalista, conquistando l'attenzione delle grandi istituzioni internazionali, economiche e finanziarie, quello che ancora rimane da fare, almeno nel caso italiano, è l'intervento su base locale, a livello di regolamenti e piani regionali. A partire dall'Onu, e scendendo via via all'Unione Europea e al governo italiano, è stato messo in campo nelle ultime settimane un pacchetto di interventi e obiettivi ambiziosi per ridurre i costi economici e ambientali del consumo di energia. Dove tutto rischia però di bloccarsi, come in un collo di bottiglia, è nell'ultimo e decisivo passaggio, quello dell'attuazione concreta degli interventi.

A detenere le chiavi di quest'ultima porta sono soprattutto le regioni, depositarie delle scelte strategiche in materia di energia. A sintetizzare il quadro drammatico della situazione basterebbe citare l'esempio portato a "Energetica" da Salvo Sciuto, il responsabile per l'Enel dello sviluppo delle energie rinnovabili. "Per ottenere l'autorizzazione a cambiare otto turbine in un impianto già funzionante di cui preferisco non fare il nome - ha denunciato il dirigente dell'azienda elettrica - sono stati necessari sedici mesi. E pensare che si trattava di sostituirle con pale identiche a quelle esistenti, sia per potenza che per altezza e dimensioni".

E per rinforzare l'assurdità della procedura Sciuto ha mostrato il foglio della richiesta formulata dall'Enel sul quale nel corso di questo lungo periodo è stato necessario far opporre la bellezza di ben undici timbri diversi. Attualmente Sciuto ha elencato ben nove regioni che tra mancanza di regolamenti, divieti (la Sardegna), moratorie in atto (la Sicilia) e cavilli vari rendono l'installazione dell'eolico una vera corsa ad ostacoli. "Il risultato - ha concluso - è che Enel nella metà del tempo ha realizzato in Spagna il doppio della potenza eolica realizzata in Italia, 633 MW contro 306".

Ma se il troppo storpia, anche il troppo poco può essere letale. Nicola De Sanctis, direttore fonti rinnovabili della Edison, nel corso del convegno ha puntato infatti il dito sulla mancanza di norme in grado di fare da filtro al proliferare di progetti presentati in fretta e furia "tanto per prendere il numeretto, così come ci si mette in fila dal panettiere". Scegliere i pochi progetti validi e davvero realizzabili tra i tanti sottoposti frettolosamente con intenzioni speculative e senza la preparazione adeguata ovviamente non fa che allungare i tempi, con un notevole dispendio di risorse. Un andazzo che in alcune regioni come la Calabria, ricordava giorni fa il membro della segretaria regionale della Cgil Sergio Genco, sta raggiungendo dimensioni paradossali con la presentazione di quattro o cinque nuove richieste di autorizzazione al giorno.

Del problema si è fatto interprete nel suo intervento anche il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. "Diciamolo chiaramente - ha ammesso il leader dei Verdi - la maggior parte di questi progetti fa letteralmente schifo e nasce da motivazioni clientelari. Prima si presentano, poi si pensa a correggerli in corsa, ma è anche per questo che i tempi si dilatano terribilmente. Se i progetti fossero fatti a regola sarebbe possibile concedere le autorizzazioni di impatto ambientale entro i sessanta giorni previsti". Più in generale secondo il ministro è giunto comunque il momento di riunire le regioni attorno a un tavolo per stilare un piano energetico nazionale che sia condiviso e che stabilisca su base locale tanto i target di sviluppo delle rinnovabili quanto quelli di riduzione delle emissioni di gas serra indicati dalle nuove disposizione adottate da Bruxelles. Del resto si tratta di adeguare il vecchio adagio ambientalista: pensare globalmente, agire localmente.

(27 marzo 2007)

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3.26.2007

L'energia del sole illumina i beni storici italiani

Il sole per illuminare anche il patrimonio storico e architettonico nazionale. La strada e' ancora lunga ma in Italia un esempio c'é. Si tratta della cascina Viola di impianto seicentesco in localita' Grumello del Monte, in provincia di Bergamo, soggetta a vincoli architettonici ma che ha avuto l'ok per abbracciare l'energia pulita. Un progetto pilota che ha aperto la strada ad altri eco-interventi su beni vincolati. Tra questi una masseria di origine medioevale a Rignano Garganico (Foggia) e alcuni cascinali in Franciacorta. In generale, sull'argomento tecnologia e storia, il ministero dei Beni Culturali fa sapere che valutera' di volta in volta le ristrutturazioni, a fini energetici, sul patrimonio che presenta vincoli architettonici. "Nel caso di interventi su immobili o aree vincolate occorre particolare attenzione - ha spiegato all' ANSA il sottosegretario ai Beni Culturali, Danielle Mazzonis - affinché l'inserimento sia compatibile con la salvaguardia del bene in modo da garantire la sua integrita' visiva. L' applicazione di tecnologie innovative favorisce un inserimento dei pannelli di impianti solari fotovoltaici o di solari termici nelle strutture storiche". "La compatibilita' - ha aggiunto il sottosegretario - richiede pero' verifiche caso per caso, come é avvenuto in occasione del bando di gara tetti fotovoltaici, esaminate da questo Ministero e dal Ministero dell'Ambiente nel corso del 2000, relative a richieste di autorizzazione e finanziamento per l'inserimento di impianti fotovoltaici o termici in aree e immobili vincolati. Cio' non toglie - ha concluso - che anche il patrimonio architettonico possa dare una mano all'ambiente". Ad aver superato tutti gli ostacoli e' stata la cascina Viola, di proprieta' dell'architetto Fabrizio Viola. La prima scelta e' stata l'adozione di impianti di riscaldamento a pavimento, a bassa temperatura. Avendo adottato i pavimenti radianti, e' stato possibile installare su una falda secondaria dell' edificio, leggermente arretrata, pannelli solari sottovuoto, ad altissimo rendimento, collegati con un grande boiler a stratificazione. L'acqua calda cosi' ottenuta puo' essere usata sia per il riscaldamento, sia per le utenze sanitarie, sia per regolare la temperatura della piscina esterna. A oggi il boiler é integrato da una caldaia a condensazione che sta per essere sostituita da una pompa di calore geotermica. Proprio per le esigenze della pompa geotermica, unite al normale fabbisogno elettrico dell'edificio, e' stato inoltre realizzato un impianto fotovoltaico, che riceve il contributo del cosiddetto conto energia per la produzione di energia rinnovabile. Si tratta, in sostanza, di un impianto di circa 4,5 kW di picco, collocato sulla copertura di un ricovero per autovetture, del tutto invisibile rispetto all'edificio principale ma dimensionato in modo da equilibrare tutti i consumi elettrici della cascina. "Questo progetto - ha spiegato l'architetto Viola - e' nato circa un anno fa quando si iniziava a sentir parlare di energie rinnovabili e di edilizia sostenibile. Occupandomi da sempre di restauri di edifici storici, ho voluto intervenire su una cascina del '600 per poi poter mostrare ai clienti che e' possibile realizzare interventi di risparmio energetico, perfettamente integrati in edifici d'epoca". "Ad oggi abbiamo allo studio 120 progetti in tutta Italia e su diverse tipologie di edifici e da quest'anno - ha detto Viola - siamo entrati in Assosolare, l'associazione nazionale del fotovoltaico perché il risparmio energetico in Italia e' fattibile intervenendo anche sul patrimonio artistico esistente e non solo sulla nuova edilizia''.

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Enel: avvia con Enea il "Progetto Archimede" per energia solare

Il Direttore della Divisione Generazione ed Energy Management di Enel, Sandro Fontecedro, e il presidente dell'Enea, Luigi Paganetto, hanno firmato oggi il protocollo di intesa per rendere operativo il progetto "Archimede", alla presenza del ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, dell'On. Gianni Silvestrini - ministero dello Sviluppo Economico - dell'Assessore all'Ambiente della Regione Sicilia - On. Rossana Interlandi - e del premio Nobel Carlo Rubbia. Lo annuncia Enel con una nota.
L'impianto, che sorgerà presso la centrale Enel di Priolo Gargallo (SR), rappresenta la prima applicazione a livello mondiale di integrazione tra un ciclo combinato a gas e un impianto solare termodinamico, basato su una tecnologia fortemente innovativa elaborata dall'Enea.
Sandro Fontecedro ha sottolineato la volontà di Enel di misurarsi con il grande tema dello sviluppo sostenibile: "Con Archimede intendiamo coniugare la migliore tecnologia di oggi con quella di domani. Enel, con un Piano Ambiente del valore di oltre 4 miliardi, è in prima linea sulla frontiera della ricerca e dell'innovazione. Con questo progetto e con le altre iniziative del Piano intendiamo sperimentare le soluzioni più avanzate per ridurre l'impatto sull'ambiente della produzione di energia elettrica".
Luigi Paganetto ha detto: "Con la realizzazione di Archimede si passa dalla fase di laboratorio alla fase industriale; un passaggio indispensabile, oltre che decisivo sotto il profilo tecnologico e dello sviluppo dei componenti. La scelta di realizzare subito un modulo da 5 MW risponde all'esigenza di avere immediatamente un impianto in funzione affinché la tecnologia e l'innovazione di Archimede consentano alle imprese italiane del settore di guardare a un mercato che è di dimensioni mondiali."
L'investimento complessivo per la realizzazione del progetto è di oltre 40 milioni di euro. L'entrata in esercizio dell'impianto, una volta completato il previsto iter autorizzativo, è prevista entro il 2009. Il grande impianto solare incrementerà la potenza della centrale di circa 5 MW e consentirà di produrre energia elettrica aggiuntiva di fonte solare ed ottenere un risparmio di circa 2.400 tonnellate equivalenti di petrolio all'anno, oltreché minori emissioni di anidride carbonica.
da laRepubblica.it del 26/03/2007

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Dal satellite l'evoluzione dei gas serra

Per la prima volta riprodotto l'andamento mondiale di metano e CO2 dal 2003 al 2005 grazie al satellite europeo Envisat

Ci sono voluti tre anni di osservazioni continue e l'analisi di migliaia di dati per arrivare a realizzare per la prima volta una mappa mondiale animata dell'evoluzione dei due principali gas responsabili dell'effetto serra: il metano (CH4) e l'anidride carbonica (CO2). L'animazione è stata fatta da Michael Buchwitz e Oliver Schneising dell'Istituto di fisica ambientale (Iup) presso l'Università di Brema, guidati da John P. Burrows, grazie allo Sciamachy (Scanning Imaging Absorption Spectrometer for Atmospheric Chartography), strumento posizionato a bordo del satellite europeo di indagine ambientale Envisat. Lo Sciamachy è il primo sensore spaziale in grado di misurare i principali gas serra con sensibilità elevata fino alla superficie terrestre, poiché osserva lo spettro della luce solare attraverso l'atmosfera in «nadir looking», cioè dall'esatta verticale.

METANO - Il metano è il secondo più importante gas serra dopo l'anidride carbonica, ma le molecole di metano trattengono il calore con un'efficienza venti volte superiore alla CO2. I dati ottenuti sul metano confermano anche i risultati di un altro studio eseguito nel 2005 dallo Iup presso l'Università di Heidelberg, in collaborazione con l'Istituto reale meteorologico olandese (Kmni), relative alle emissioni di metano superiori alle previsioni da parte delle foreste tropicali, in disaccordo con le simulazioni teoriche relative allo stesso periodo di tempo.

ANIDRIDE CARBONICA - Gli studiosi hanno utilizzato i dati ottenuti da Sciamachy nello stesso periodo per determinare le colonne atmosferiche di anidride carbonica, che viene prodotta sia per vie naturali che a causa di attività umane, come la combustione di carburanti fossili. Come per il metano, anche per la CO2 esistono lacune significative nella conoscenza delle sue sorgenti, come per esempio gli incendi, le attività vulcanica, il respiro di organismi viventi, terre emerse e oceani.


Paolo Virtuani
Tratto da corriere.it il 26 marzo 2007

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3.25.2007

Scaroni, abbiamo petrolio per altri 70 anni

"Di petrolio nel mondo ce n'e' e anche tanto. Attualmente il nostro pianeta dispone di riserve cosiddette 'certe' per oltre mille miliardi di barili. Queste riserve certe sono piu' di tutto il petrolio che e' stato consumato dall'inizio dell'era petrolifera dalla seconda meta' dell'800 fino a oggi". Lo ha detto l'ad di Eni, Paolo Scaroni, intervenuto a un incontro organizzato a Vicenza dalla Scuola di Cultura Cattolica Mariano Rumor sul tema "Energia: il nostro domani". A queste riserve, ha spiegato ancora, vanno aggiunte quelle "probabili" e quelle "possibili". In totale ci sono sotto terra "almeno altri 5 mila miliardi barili. Di che soddisfare il mondo per i prossimi 70 anni". Scaroni spiega poi che "il prezzo del petrolio ora e' relativamente alto perche' per molti anni e' stato basso, forse perfino troppo basso". "Dal 1986 al 2001 - dichiara - il prezzo medio del greggio e' stato di 18 dollari al barile. Nello stesso arco di tempo, ha subito due veri e propri collassi, nel 1986 e nel 1998, scendendo perfino sotto il 10 dollari". Con questo livello dei prezzi, ha chiarito l'ad di Eni, "i Paesi produttori non avevano ne' l'interesse, ne' i mezzi finanziari per investire nell'esplorazione di nuovi giacimenti e in tutte quelle infrastrutture indispensabili per fare arrivare al consumatore i prodotti raffinati come benzina e gasolio". Dunque il petrolio c'e', ma la capacita' di estrarlo non ha tenuto il passo con la domanda e, "in questa situazione di tensione, e' ovvio che ogni stop alla produzione, come quello causato qualche anno fa dall'uragano Katrina nel Golfo del Messico, produca un'impennata dei prezzi del barile". A cio' va aggiunto che l'impennata viene amplificata dalla speculazione internazionale. Cosi' come bisogna anche considerare, ha proseguito, che "la maggior parte del prezzo dei carburanti in Italia e in Europa e' riconducibile alle tasse". Per abbassare i prezzi, spiega ancora Scaroni, basterebbe che i Paesi industrializzati si guardassero "in casa" adottando misure per "razionalizzare il consumo di energia e ridurre lo spreco". Dobbiamo anche considerare, poi, "che i nostri consumi voraci tengono alto il petrolio per tutti, non solo per noi". Oltre a questo, ridurre i consumi di carburante sarebbe la miglior ricetta per proteggere l'ambiente. "Utilizzando meno petrolio -spiega Scaroni - ridurremmo sensibilmente le emissioni di gas che causano l'effetto serra". Per questo l'Eni si appresta a lanciare una campagna di "informazione-formazione" per incentivare il risparmio energetico. In particolare, "verranno suggeriti 24 comportamenti virtuosi realizzabili a costo nullo o quasi che consentirebbero un abbattimento delle emissioni di CO2 per una quantita' pari al 25% del deficit italiano rispetto all'obiettivo di Kyoto". Per il numero uno dell'Eni "se sapremo modificare il nostro comportamento individuale in modo razionale, arriveremo al tempo in cui il petrolio potra' non essere piu' la fonte energetica primaria perche' sara' rimpiazzato da altre risorse. E anche le compagnie petrolifere, quelle che vedono nel cambiamento un'opportunita' per crescere e innovare, potranno soddisfare i fabbisogni energetici del nostro pianeta in modo equilibrato e sostenibile, continuando a creare valore per i loro azionisti". Si tratta di un terreno su cui "Eni vuole essere in prima linea. Lo vogliamo - ha detto Scaroni - per ragioni di efficacia economica, ma anche per la responsabilita' che portiamo di fronte a coloro che verranno dopo di noi. Questa e' la nostra sfida per il futuro". (AGI) - Vicenza, 25 marzo

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Ritorna l'ora legale, stimato un risparmio di 82 milioni di euro

Secondo le stime di Terna, la società responsabile della gestione dei flussi di energia elettrica sulla rete italiana, nel corso dei prossimi 7 mesi verranno risparmiati 650 milioni di kilowattora (per il passaggio dall'ora solare all'ora legale), un valore corrispondente al consumo di una provincia media italiana nel periodo di riferimento.

Per il 2007 si prevede un aumento di circa 5 milioni di kilowattora in termini di energia elettrica non consumata, rispetto ai 645 milioni di kilowattora risparmiati lo scorso anno. L'ora legale si conferma dunque un importante strumento di risparmio energetico. Proprio per questo motivo gli Stati Uniti hanno anticipato l'entrata in vigore del nuovo orario di due settimane, una decisione presa nel 2005 all'ambito di un piano per l'aumento del risparmio dell'energia.

Un orientamento dettato oggi dal surriscaldamento terrestre e dai cambiamenti climatici, ma che trova la sua origine nella crisi energetica degli anni sessanta. È dal 1966 che in Italia l'ora legale viene utilizzata con continuità, pur con modalità diverse negli anni, dopo una mancata adozione di 16 anni (dal 1949 al 1965).

L'adozione definitiva dell'ora legale avvenne durante gli anni della crisi energetica. Per i primi tredici anni il periodo andava dalla fine di maggio alla fine di settembre. Poi è stato progressivamente ampliato fino al 1996 quando si stabilì la durata dall'ultima domenica di marzo all'ultima di ottobre.

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3.24.2007

Piemonte e Lombadia, il Patto per l’idrogeno

Dopo il Patto antismog arriva anche il Patto per l’indrogeno, anche se questa volta sono coinvolte solo due regioni: Lombardia e Piemonte. I due presidenti, Roberto Formigoni e Mercedes Bresso hanno infatti firmato un’intesa per la realizzazione di una Hydrogen Community europea che si occupi di ricerca sui temi dell'energia rinnovabile, delle celle a combustibile e dell'idrogeno come nuova soluzione energetica.

Entro 30 giorni dalla firma verrà costituita una Cabina di regia congiunta, che avrà il compito di “organizzare e pianificare le attività di coinvolgimento e di partecipazione delle aziende e degli enti di ricerca pubblici e privati interessati a cogliere questa opportunità", ha detto l'assessore all'Innovazione del Piemonte, Andrea Bairati. La Cabina Regia dovrà inoltre preparare un piano per il reperimento delle risorse. Si prevede infine la creazione di un idrogenodotto che colleghi Torino a Venezia sulla scorsa della rete di distribuzione di ossigeno gassoso che serve le acciaierie.

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3.20.2007

Clima, il Wwf incalza il governo "Subito una task force per adattarci"

Gli altri stati europei si sono già organizzati da tempo, ma noi siamo in grave ritardo
Da un gruppo di scienziati dell'organizzazione i consigli sulle linee guida da seguire


L'idea è quella di creare una commissione interministeriale per prevenire le emergenze legate ai cambiamenti. Gli interventi su fiumi, coste e agricoltura dovrebbero essere dettati "rafforzamento del sistema natura"

Se il riscaldamento globale è per il Pianeta come una brutta febbre, meglio arrivarci con l'organismo in piena efficienza e in grado di fare fronte alla malattia con i suoi anticorpi, piuttosto che affidarsi solo a costosi antibiotici dai possibili effetti collaterali. E' questo il senso dell'iniziativa lanciata oggi dal Wwf per chiedere al governo di farsi quanto prima promotore di un piano di adattamento ai cambiamenti climatici che hanno iniziato a colpire l'Italia e rischiano di farlo in maniera sempre più forte.

Una precauzione che in Europa solo l'Italia non ha ancora intrapreso e che secondo l'organizzazione del panda deve puntare sul "rafforzamento del sistema natura". Con la conferenza stampa convocata oggi, il Wwf non si è limitato a sollecitare un intervento del governo, ma ha voluto anche suggerire un primo pacchetto di linee guida elaborato dagli esperti (biologi, oceanologi, botanici, geologi) del comitato scientifico dell'associazione.

"I cambiamenti globali sono già una realtà del tempo presente (guarda la galleria fotografica, ndr) ed i costi dell'inazione rischiano di essere molto pesanti per tutta la collettività - spiega Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia - A fianco delle azioni di riduzione dei gas serra è urgentissimo ripristinare il territorio rafforzando la capacità dei sistemi naturali di resistere ai cambiamenti climatici già in atto".

L'idea del Wwf è che anche Roma, come hanno fatto le altre capitali europee (Londra addirittura nel lontano 1997), metta in cantiere una commissione interministeriale coordinata da Palazzo Chigi per monitorare e prevedere i cambiamenti, valutando come integrare le strategie di emergenza con quelle di prevenzione a lungo termine. I campi di intervento individuati dall'associazione del panda sono quindici e vanno dall'agricoltura alla pesca, dalla tutela delle coste a quella delle foreste, dalla salute umana ai trasporti.

In testa alla lista ci sono tutti quei settori che coinvolgono la gestione delle risorse idriche. Il primo cambiamento climatico che il nostro paese ha già iniziato a sperimentare drammaticamente è infatti quello della siccità. "Se prendiamo ad esempio l'attuale gestione dei fiumi, tra gli ambienti più stravolti dalle attività umane - sottolinea ancora Bologna - il percorso da monte a valle ci fa scoprire come i tanti processi già sotto stress per il cambiamento globale si alimentino negativamente tra di loro. Tra questi: captazione delle acque per scopi industriali e di produzione idroelettrica, impermeabilizzazione degli argini e conseguente riduzione dei sedimenti portati al mare, distruzione dei boschi e conseguente riduzione della capacità di assorbire le acque piovane lungo gli argini e le valli adiacenti, e a valle erosione delle coste per la riduzione dell'apporto di sedimenti e riduzione di immissione di acque dolci che aumenta così la salinizzazione dei mari".

La soluzione proposta dal Wwf non è però quella di costruire nuovi invasi o cercare nuove falde da sfruttare. "Il principio fondamentale su cui si dovrebbe impostare la grande opera di adattamento - spiega Riccardo Valentini, ecologo e presidente della Commissione sul cambiamento globale del Cnr - è quello di mantenere e rafforzare lo stato di salute e di vitalità dei sistemi naturali: laddove i sistemi naturali sono degradati e vulnerabili automaticamente si abbassano le capacità di reazione anche dei nostri sistemi sociali. La cattiva gestione dei sistemi fluviali è un esempio lampante, ma non è l'unico".

Le soluzioni sono quindi la difesa dei boschi a monte dei fiumi, in grado di assorbire e rilasciare gradualmente l'acqua; il rispristino di argini naturali che favoriscono il trasporto di detriti e assorbono acqua anziché farla correre rapidamente in mare; la difesa delle lagune rivierasche, veri e propri "Mose" naturali posti a tutela delle coste. Oltre a favorire la rigenerazione delle riserve idriche, l'acqua va però anche risparmiata, in tutti i settori: nei consumi domestici, nei processi industriali e in agricoltura, dove è necessario riscoprire le coltivazioni tipiche dell'area mediterranea, favorendo ad esempio i "morigerati" cereali, ulivi e vite rispetto agli "assetati" mais e kiwi.

Tratto da laRepubblica.it
(19 marzo 2007)

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3.15.2007

Torri del vento in Molise, Di Pietro dice no

Contestato il piano del parco eolico sull'Adriatico. «In quest'area renderebbe poco». Ambientalisti divisi

Proprio nel giorno in cui il presidente della commissione europea Barroso ha lanciato un appello ai partner europei, chiedendo di coprire, entro il 2020, con fonti rinnovabili pulite almeno il 20% dei consumi energetici, in Italia scoppia una querelle sull'eolico, l'energia ricavata dal vento. Un progetto per la realizzazione del primo grande parco eolico offshore, nell'Adriatico, al largo della coste del Molise, è stato respinto da comuni, Province, Regioni e da alcuni settori del governo perché offenderebbe il paesaggio e il turismo. Profondamente divisi gli ambientalisti, con Legambiente che promuove l'iniziativa e il Comitato per il paesaggio che la boccia.
«Si tratta di un progetto nato più nel sottoscala che nelle sedi opportune — ironizza il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, che dalla sua natia Montenero di Bisaccia, potrebbe avvistare la selva delle torri eoliche marine alte fino a 80 metri —. Non sono stati coinvolti né gli enti locali, né la popolazione. Il progetto mi appare mosso più da interessi speculativi che industriali». Lo schema del parco eolico, elaborato dalla milanese Effeventi, prevede di impegnare una superficie di circa 25,5 milioni di metri quadrati, a pochi km di distanza dalla costa di Petacciato (Campobasso), a Nord di Termoli. Lì la ditta conficcherebbe sui fondali adriatici 54 torri eoliche d'acciaio di 5 metri di diametro e di altezza variabile dai 60 agli 80 metri.
Sfruttando i venti della zona, la selva delle torri, dotate in cima di pale rotanti, produrrebbe l'energia necessaria per alimentare 120 mila famiglie. Un contributo piccolo ma non trascurabile, che ci libererebbe dall'onere di quasi 100 mila tonnellate l'anno di idrocarburi e risparmierebbe alla nostra atmosfera 420 mila tonnellate l'anno di anidride carbonica (il gas che riscalda il pianeta e altera il clima), oltre a una valanga di inquinanti ordinari. «Il progetto è stato a lungo esaminato dalla commissione per la valutazione dell'impatto ambientale del ministero dell'Ambiente — riferisce Edoardo Zanchini, responsabile nazionale Energia di Legambiente —. Sono stati apportati correttivi, sia per minimizzare l'impatto delle torri con i fondali, sia per garantire l'allacciamento dei cavi elettrici senza interferire su dune e pinete dell'area. Possiamo affermare che le preoccupazioni sono rimosse. L'impianto va fatto». Di parere opposto gli ambientalisti del Comitato nazionale per il Paesaggio che fanno riferimento all'ex ministro Carlo Ripa di Meana. «Intendiamoci, sono convinto che l'energia eolica sia un'alternativa valida — precisa Di Pietro —. Ma va valutato il rapporto costi benefici. Quella è un'area con deboli venti. Unica per il valore paesaggistico perché è rimasta allo stato vergine, senza speculazione edilizia. La scelta dell'impianto eolico sarebbe sbagliata. In ogni caso, poiché la procedura autorizzativa non investe il mio ministero, ma quello dei Trasporti, mi sono già messo in contatto col collega Bianchi». Di Pietro non cita il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio, competente per la valutazione di impatto, il quale fa sapere che «l'eolico è senz'altro una buona fonte energetica, ma bisogna rispettare le condizioni per un suo corretto utilizzo e sottolinea che gli impianti devono essere inseriti all'interno di una pianificazione nazionale».

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3.14.2007

Quale modello di sviluppo sostenibile per il sud salento?

Sembra che l'idea di sviluppo sostenibile per un territorio come il sud salento, sia la costruzione di parchi eolici e di strade come la ss275 che ci fanno vivere ancora il falso mito del possibile sviluppo solo con la velocità e puntando a Nord. Ma da quando la velocità è diventato un valore? Quando ci affrancheremo da questa schiavitù culturale per la quale al Nord è meglio? Le cose possono cambiare se smettiamo di sentirci al centro del mondo ed iniziamo a pensare realmente a come possiamo sfruttare al meglio il nostro territorio. Il Basso Salento come parco è un idea affascinante, immaginare il Basso Salento come un grande parco (non eolico per favore) è un'idea di sviluppo sostenibile innovativa. Dove territorio, cultura e l'accoglienza tipica di noi salentini sono il volano ideale per vedere finalmente questo territorio decollare almeno verso una qualità della vita migliore per chi ci abita tutto l'anno.

In questi giorni i sindaci del basso salento si sono incontrati nei locali della Provincia di Lecce con l'assessore regionale Loizzo, il frutto di questo incontro è stato il raggiungimento di un compromesso. La ss275 finirà all'incrocio di Alessano-Novaglie-Corsano-Gagliano, in piena zona archeologica di Macurano. Il sindaco di Alessano in un incontro del comitato ss275 dice che questo compromesso è una grande vittoria politica perchè la sua mediazione ha impedito almeno per ora (in attesa che l'ANAS si esprima) la costruzione del viadotto che serve per congiungere la strada con Santa Maria di Leuca.
Personalmente non mi riesco a spiegare quale sia questa grande vittoria, visto che una delibera di giunta regionale fermava la strada a Montesano Salentino. Il tutto mi fa pensare che dietro ci sia qualche accordo magari di tipo politico, con la presunzione che la gente stia a guardare.

Il comitato ss275, ha due presidi permanenti uno ad Alessano e l'altro a Tricase.
Per lunedì 19 marzo, in occasione del prossimo incontro dei sindaci con l'ingegnere della provincia è previsto un sit-in di protesta di fronte a Palazzo dei Celestini alle ore 10.30.

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Energia eolica, il Molise affonda il primo parco offshore italiano


Ogni tanto si legge anche qualche notizia positiva. Mentre nel salento ci sono oltre 90 richieste di parchi eolici in attesa di essere approvati qualcuno, forse più attento e sensibile di tanta sinistra che ha ancora un idea da anni 80 di sviluppo e crescita del territorio decide di bloccare il più grande parco eolico offshore. E gli ambientalisti che fanno? Protestano contro la giunta regionale perchè ha preso questa decisione che secondo loro gli allontana dagli obiettivi di Kyoto! Si è tanto parlato di modello di sviluppo alternativo per il sud italia, alla luce di queste proteste mi chiedo quale dovrebbe essere? Distruzione del territorio, per non riuscire neanche più a sfruttare quel poco di turismo che nei periodi estivi riempie questo sud sempre più depresso e scollegato dal resto del mondo? L'idea che le pale attirino turisti è a dir poco abberrante!

Riporto l'articolo di Valerio Gualerzi apparso sul la repubblica online.

Svolta storica, rivoluzione industriale, mossa verso la leadership mondiale dello sviluppo sostenibile. Il piano energetico salvaclima adottato la scorsa settimana dall'Unione Europea con l'introduzione di quote vincolanti per la produzione da fonti rinnovabili è stato salutato da aggettivi altisonanti. La giunta del Molise ci ricorda oggi quanto è diversa la realtà dei fatti e quanto sono lontane Bruxelles e Campobasso.

Il governo regionale ha deciso di dare infatti parere negativo alla realizzazione della prima centrale eolica offshore d'Italia, il progetto per un parco di 54 pale alte tra i 60 e gli 80 metri da far sorgere in pieno Adriatico, a circa tre chilometri dalla costa tra Vasto e Termoli. Una decisione attesa, visto che il presidente della Regione Michele Iorio (Forza Italia), sulla scia di un crescente malcontento della provincia, dei sindaci della zona, degli operatori turistici e del più illustre molisano del momento, il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, aveva già anticipato l'intenzione della giunta di bocciare il progetto.

A questo punto pare segnata la sorte della centrale da 162 megawatt, che sfruttando la forza dei venti sul mare avrebbe dovuto produrre la corrente necessaria ai consumi di circa 120 mila famiglie. Nei piani della Effeventi, la società milanese che aveva presentato il progetto pensando di finanziarlo con capitale privato, il parco eolico avrebbe dovuto sorgere nel giro di un anno e mezzo, ma l'iter necessario per un eventuale via libera alla centrale è abbastanza controverso, non esistendo in Italia precedenti di altre strutture offshore, impianti che per le loro caratteristiche toccano competenze sia nazionali che regionali.

Sull'ipotesi deve ancora esprimersi la Via, la commissione nazionale per la valutazione d'impatto ambientale, che probabilmente darà parere positivo limitandosi a chiedere qualche modifica sull'aspetto più delicato della struttura, ovvero "l'attracco" dei cavi sottomarini sulla terraferma. Le pale infatti sono talmente distanti dalla riva che nelle simulazioni grafiche che accompagnano il progetto (guarda la galleria fotografica) sono visibili a malapena. Il sì della Via difficilmente spingerà però il governo ad andare a uno scontro con il Molise, sfidando anche il veto del ministro Di Pietro che domani ribadirà la sua contrarietà al comandante della Capitaneria di Porto di Termoli, Luca Sancilio.

Una probabile rinuncia contro cui le associazioni ecologiste storiche come Legambiente e Greenpeace (ancora una volta contrapposte ai piccoli comitati ambientalisti locali) annunciano battaglia. "Sbaglia la Regione Molise a bocciare il parco eolico offshore, al largo delle sue coste", afferma Edoardo Zanchini, responsabile nazionale Energia di Legambiente. "E' un errore, l'impianto va fatto - aggiunge - e la posizione della Regione è tanto più inaccettabile in quanto la sua è una bocciatura a priori: continua a dire no senza entrare nel merito del progetto".

Posizione che combacia con quella di Greenpeace. "Siamo favorevolissimi a questo parco eolico, bloccarlo è un'assurdità - spiega il responsabile delle campagne dell'organizzazione, Francesco Tedesco - che ci sembra nasca anche dall'ignoranza su cosa sia veramente una centrale di questo tipo". "Anche i timori per il turismo - aggiunge Tedesco - ci sembrano fuoriluogo: l'esperienza straniera, con i primi grandi impianti offshore meta di visite e gite, ci dice che le cose stanno in maniera esattamente opposta. Quello molisano sarebbe il primo e al momento unico in Italia, è inevitabile che finirebbe per essere un ulteriore richiamo turistico".

Il Molise, evidenziano ancora Zanchini e Tedesco, "ha installato solo 54 megawatt di energia eolica e nessun progetto di impianto a terra viene più approvato da mesi, il solare fotovoltaico è a zero e, ora, si blocca anche l'eolico a mare: come pensa la Regione di dare il proprio contributo alla lotta ai mutamenti climatici e all'adeguamento della nostra politica energetica agli obiettivi di Kyoto?".

"La verità - conclude Zanchini - è che questo progetto paga due gravi problemi: come spesso accade in Italia non è stato presentato nel modo appropriato e nei tempi giusti, coinvolgendo la popolazione, bensì facendone scoprire l'esistenza ai comuni interessati solo all'ultimo momento e quasi per caso. A penalizzarlo fortemente è poi il fatto che a proporlo non sono stati colossi come l'Eni o l'Enel, contro i quali difficilmente la Regione avrebbe trovato la forza di fare la voce grossa, ma da una piccola società".

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Londra taglia i gas serra del 60%

Il piano: fonti alternative e risparmi nelle case

Il primo Paese Verde del pianeta. È questo l'obiettivo che il governo britannico si è posto presentando la bozza di legge che prevede l'obbligo di ridurre del 60 per cento entro il 2050 l'emissione di diossido di carbonio, principale colpevole del riscaldamento terrestre e del temuto cambiamento irreversibile del clima.

«Tutti i settori della nostra società dovranno contribuire allo sforzo di trasformare la Gran Bretagna in un'economia a bassa emissione di Co2», ha detto il ministro dell'Ambiente David Miliband. «Siamo a una tappa rivoluzionaria che servirà di esempio al mondo», ha promesso Tony Blair, che ha già svelato la sua ambizione di mettersi a disposizione della comunità internazionale come salvatore dell'ambiente, quando in estate lascerà Downing Street. E Gordon Brown, che si appresta a succedergli alla guida del governo, ha invitato la gente a «risparmiare sulle emissioni di Co2 come risparmia su ogni singolo penny». Il Cancelliere ha annunciato che metterà fuori commercio le vecchie lampadine a incandescenza e progetta sgravi fiscali per le case che si doteranno di un sistema di isolamento termico, con un obiettivo di dieci milioni di abitazioni di nuova concezione «carbo-neutra» entro il 2016. E con orgoglio ha citato esempi personali: a casa spegne ogni sera la funzione stand-by su televisione e apparecchio hi-fi, non tiene in ricarica il telefonino la notte, ha messo pannelli solari (anche se dalle sue parti in Scozia di sole se ne vede poco per la verità). Soprattutto, il superministrofinanziario del Regno ha ricordato ai sudditi come semplici accorgimenti del genere oltre a far bene all'ecosistema possono abbassare la bolletta energetica di ogni famiglia di circa 360 euro all'anno.

La sfida al riscaldamento terrestre è al centro del dibattito politico-culturale a Londra. David Cameron, quarantenne leader dei conservatori cerca di ridipingere di verde il partito e ha appena proposto di introdurre una tassa sui viaggi aerei: un tetto di 2 mila miglia a testa l'anno e poi una tassa progressiva a seconda delle miglia volate in più. Un'idea poco popolare e tanto più arrischiata se si tiene conto che il partito conservatore è tradizionalmente percepito come il paladino della deregulation e dell'abbassamento delle tasse. Anche Cameron esibisce comportamenti personali da bravo ecologista: sta facendo grandi lavori nella sua casa di Notting Hill per installare una turbina eolica e ha promesso (o minacciato a seconda dei punti di vista) di piazzarne una anche su Downing Street se diventerà premier. E poi appena può si fa fotografare mentre va a Westminster in bicicletta, anche se un fotoreporter ha scoperto che è seguito dall'auto di servizio con cambio d'abito e borsa dei documenti.

Il governo comunque ha piani seri. Il progetto di legge sul «Climate Change», che sarà votato all'inizio del 2008, fissa una serie di piani quinquennali legalmente vincolanti e istituisce un organismo di controllo indipendente che darà consigli e verificherà anno per anno il rispetto degli impegni presi.

La Gran Bretagna, che contribuisce alle emissioni di gas serra per il 2 per cento del totale mondiale, promette di ridurle tra il 26 e il 32% entro il 2020: quindi più del 20% (rispetto ai livelli di emissioni del 1990) su cui si sono appena accordati i leader europei. Punta sulle energie alternative e rinnovabili, da quella eolica tanto cara a Cameron a quella solare che piace a Brown, a quella creata dalle maree.

In questo clima di crociata la bozza di legge prevede che in caso di mancato raggiungimento del taglio previsto il governo possa essere portato in tribunale per renderne conto. E in un Paese giudiziariamente litigioso come la Gran Bretagna, dove organizzazioni come Amici della Terra e Greenpeace sono particolarmente attive, un Processo Verde ai ministri di Sua Maestà non è un'eventualità da prendere alla leggera. Quanto al ruolo di «salvatore planetario» sognato da Blair, il premier punta di lasciare la scena politica dopo un ultimo successo al verticeG- 8 di giugno: vuole convincere gli Stati Uniti ad appoggiare il nuovo trattato che sostituirà quello di Kyoto. È l'ora delle buone intenzioni.
Verdi.

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3.13.2007

Più acquisti verdi nella p.a. In arrivo un piano del Ministero dell’ambiente

Verrà varato a breve il “Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione”. L'annuncio è stato dato a Bari da Vincenzo Mastrangelo, componente dello staff tecnico della sottosegretaria all'Ambiente Laura Marchetti, all'inaugurazione dei corsi di formazione per consulenti e revisori ambientali della Regione Puglia.
Mastrangelo ha ricordato che “i corsi regionali danno centralità agli acquisti verdi per la pubblica amministrazione, il Green public procurement, materia che rientra proprio nella delega di governo affidata alla sottosegretaria Marchetti, e che la Regione Puglia è stata la prima a dotarsi di una legge regionale sugli acquisti ecologici, la 23 del 2006”.
La normativa - ha detto l'assessore regionale all'Ecologia, Michele Losappio - “prevede di raggiungere in un triennio una quota di acquisti verdi, dal carburante alla carta, pari al trenta per cento della spesa complessiva”.
Intanto, la Regione Liguria si impegna a fare “acquisti verdi”. In particolare, come ha reso noto Cristina Morelli, capogruppo dei Verdi, gli uffici della Regione dovranno utilizzare manufatti e beni con una quota di prodotti - tra cui cartucce toner - ottenuti da materiale riciclato per almeno il 30% del fabbisogno, compatibilmente con le esigenze di ordine tecnico. Per la carta riciclata la percentuale sale al 60% come per altro previsto da una legge regionale del 1999. L'obiettivo andrà realizzato compiutamente entro il 2010 per adeguare le gare d'appalto ed esaurire le scorte. “Siamo in ritardo - ha sottolineato Morelli - avremmo dovuto farlo da tempo”. Alessio Saso (An) ha espresso “il favore pieno e convinto di Alleanza Nazionale all'iniziativa”. L'assessore Pittaluga ha assicurato che il settore amministrazione si è già attivato per rispondere a questa indicazione: “La giunta è d'accordo purché i prodotti siano tecnicamente affidabili e fermo restando la compatibilità finanziaria in materia di acquisti”.

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3.09.2007

“Liberatelo, è un giornalista”. Perché Daniele è andato in Afghanistan a svolgere il suo lavoro di giornalista, di reporter che cerca le notizie e racconta.

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Analisi e proposte per la Megalopoli padana in movimento

NORD ITALIA: UNA ‘BOMBAY’ SU QUATTRO RUOTE”


Piattaforma del WWF Italia
per una politica dei trasporti ragionevole nel Nord Italia

COME GOVERNARE LA MOBILITA’
CONSEGUENDO GLI OBIETTIVI DI KYOTO
10 SCELTE DI FONDO E 20 AZIONI CONCRETE PER I GOVERNATORI DEL NORD

· La megalopoli padana del Nord Italia

Bisogna dare respiro all’azione istituzionale, con interventi strutturali, che contrastino la saturazione del territorio e l’asfissia provocata dalla città diffusa, dalla grande megalopoli padana che sta progressivamente esportando il proprio modello in aree sempre più vaste e incontaminate dell’Italia settentrionale.

Nel 2006 il WWF Italia lanciava la Carta d’intenti “Dieci passi per conseguire gli obiettivi di Kyoto nei trasporti italiani”, ricordando che il sistema dei trasporti, che negli ultimi 15 anni ha visto aumentare le sue emissioni in Italia del 25% circa (contro la riduzione del 6,5% richiesta dal Protocollo) e richiamava l’attenzione dell’opinione pubbliche sulle scelte istituzionali e pianificatorie sbagliate nei settori dei trasporti e delle infrastrutture che stavano strangolando in particolare il Nord Italia.

Le politiche di riduzione delle emissioni climalteranti rappresentano un passaggio obbligato ed un’opportunità di riforma della mobilità nel Nord Italia.

L’obbligo sottoscritto a livello nazionale di riduzione del 6,5% al 2008-2012 ed il successivo target di riduzione del 20-30% al 2020 già anticipato dalla Commissione Europea nel gennaio di quest’anno non sono compatibili con gli attuali livelli di emissione del settore trasporti. E’ inevitabile, anche in relazione alle stime d’impatto economico in termini di riduzione del PIL derivante dai cambiamenti climatici recentemente oggetto del rapporto Stern del Governo inglese

Data la necessità, l’inevitabilità e l’urgenza di un ruolo delle regioni negli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 (ruolo che probabilmente sarà individuato già nella prossima delibera CIPE di revisione della politica nazionale per il clima) è auspicabile elaborare strumenti (Allegato n. 1) che, a fronte delle risorse impiegate, perseguano molteplici obiettivi.

Infatti, le emissioni di CO2 – il principale gas serra - dovute al traffico autostradale ammontano a 66 milioni di tonnellate l’anno con un incremento nel 2000, rispetto al 1980, del 71%.

Nello stesso periodo il tasso medio di motorizzazione nell’Italia settentrionale è cresciuto di oltre il 50% (passando da 380 a 585 autovetture ogni 1000 abitanti), mentre nello stesso periodo i passeggeri sulla ferrovia aumentavano solo del 13%.

Questo fenomeno è stato favorito da scelte istituzionali in materia di infrastrutture che hanno continuato a favorire (al di là dei luoghi comuni che denunciavano un presunto impasse) la rete stradale: tra il 1981 e il 1999 la rete di strade e autostrade del Nord Italia ha avuto un incremento del 25% Passando da 140 mila km a 175 mila). Questo mentre lo sviluppo della rete ferroviaria veniva ridotto, per il taglio dei rami secchi del 2%.

Ciò si è tradotto oltre che in un maggior inquinamento anche in un preoccupante incremento dell’incidentalità sulla strada: tra il 1980 e il 1999 nel Nord Italia sono stati registrati 1,8 milioni di incidenti stradali in cui sono state coinvolte 2,3 milioni di persone (equivalenti a circa il 10% della popolazione residente nel settentrione).

Il problema è che gli autoveicoli privati sono serviti per coprire distanze medie sempre più lunghe: nell’arco di 20 anni ogni singolo residente nel Nord Italia ha quasi raddoppiato la lunghezza dei km percorsi in un anno (passando dagli 8.500 km del 1980 ai 16.000 del 2000) e la lunghezza media degli spostamenti quotidiani è anch’essa raddoppiata passando, nello stesso periodo, da 10 a 20 km a testa.

Le scelte istituzionali e pianificatorie sbagliate hanno così consentito la nascita di una grande megalopoli padana, costituita da sistemi urbani regionali, da una città diffusa in cui si concentra il 78% della popolazione del Nord Italia (quasi 20 milioni di abitanti, sui 25,3 milioni complessivi) su circa ¼ della superficie (circa 30.000 kmq), con una densità media di 650 ab/km ed include: il Piemonte centrale intorno a Torino, l’area metropolitana milanese e il Pedemonte lombardo, l’area veronese e il fondovalle dell’Adige tra Trento e Bolzano, l’area centrale veneta (intorno a Vicenza, Padova, Venezia-Mestre e Treviso) l’area triestina e udinese, l’intero asse della via Emilia da Piacenza a Rimini, il litorale ligure.

Nel 1951 i 21 milioni di abitanti del Nord Italia vivevano ancora in prevalenza all’esterno delle aree urbane, mentre gli attuali 25,3 milioni di abitanti si sono sempre più concentrati in aree urbane e sub-urbane, alimentando la città diffusa sino alle zone pedemontane, consumando e devastando i paesaggio e il territorio

Oggi nel Settentrione è possibile distinguere (come ricordato nel dossier “Metropoli tranquille: una politica dei trasporti ragionevole per il Nord Italia” elaborato da Polinomia per il WWF Italia): un insieme di ambiti urbani in senso stretto, estesi su meno di 4.000 kmq (3% della superficie totale), con 8,8 milioni di abitanti (contro i 6,2 del 1951); un sempre più esteso ambito suburbano, che occupa circa 26.000 kmq (22% della superficie totale), contando 10,9 milioni di abitanti (contro i 7,8 del 1951); un ambito extraurbano, che occupa il restante 75% della superficie territoriale, per 86.000 kmq, contando 5,6 milioni di abitanti (contro i 6,9 del 1951).

· Il buon governo della mobilità

Il WWF Italia chiede alle Regioni e al Governo nazionale di invertire decisamente la tendenza che ha visto l’automobile condizionare il futuro dello sviluppo anche territoriale ed urbanistico del Nord Italia, costituendo un attentato alla qualità della vita e alla salute umane e alla conservazione della biodiversità.

In questo senso non sono state certamente segno di un’inversione di tendenza sostanziale le scelte perseguite dalle Regioni con le Intese Generali Quadro sulle infrastrutture strategiche, che hanno visto il 49% degli investimenti concentrati su strade e autostrade e solo il 37% sulle ferrovie, di cui oltre il 70% sull’AV (che notoriamente non serve il traffico a corto raggio, pari oltre l’80% dell’utenza ferroviaria). Ed oggi sulle infrastrutture prioritarie (Allegato n. 2).

Bisogna chiarire inoltre che anche l’incentivazione agli Euro 4 non rappresenta uno strumento efficace dal momento che non persegue obiettivi di riduzione del CO2.

In occasione della giornata di blocco del traffico attuato il 25 febbraio 2007 dalle Regioni del Nord Italia, sulla base di un’iniziativa istituzionale e normativa della Regione Lombardia - peraltro di un certo interesse per lo sforzo di coordinamento tentato tra le varie politiche e misure (Allegato n. 3) -, il WWF Italia crede però che non si può intaccare il dominio dell’automobile, favorito da scelte pianificatorie e infrastrutturali nel settore dei trasporti e della mobilità inadeguate e sbagliate, intervenendo solo con misure anche drastiche finalizzate semplicemente a “regolare il traffico”

Ai presidenti delle giunte regionali il WWF Italia chiede di adottare un
Decalogo
che contiene alcune scelte di fondo
per decongestionare la città diffusa e frenare l’espansione incontrollata della megalopoli padana:



1) dare preminenza alla pianificazione territoriale (correttamente intesa), i cui scopi sono quelli di coordinare ed orientare l’intervento di più soggetti pubblici (ad esempio localizzando i grandi attrattori di traffico presso i principali nodi intermodali) nella gestione delle sempre più scarse risorse ambientali, in un territorio spesso già densamente infrastrutturato, abbandonando la logica a comparti stagni della pianificazione di settore;

2) contribuire a riorganizzare radicalmente la rete del trasporto pubblico passeggeri (locale e non), mirando alla costruzione di un sistema integrato, basato su una robusta armatura di servizi ferroviari regionali e di media percorrenza, affiancata da una capillare rete di servizi automobilistici suburbani a servizio della “città diffusa”, da servizi di medio-lunga percorrenza velocizzati e resi più efficienti, da una rete equilibrata di servizi aerei correttamente tariffati, anche in connessione con modalità più intelligenti di uso degli autoveicoli (car sharing, car pooling);

3) ripensare l’assetto dei servizi logistici, favorendo lo sviluppo di soluzioni innovative ed integrate, anche a servizio della distribuzione urbana delle merci;

4) contribuire a potenziare i nodi di interscambio (porti/stazioni/aeroporti/terminal intermodali), che spesso costituiscono i veri “colli di bottiglia” del sistema, tanto più in un’ottica di potenziamento dell’intermodalità;

5) favorire l’ingresso di logiche più avanzate anche nel trasporto passeggeri, per esempio favorendo lo sviluppo di soggetti capaci di vendere spostamenti integrando più modi di trasporto;

6) rafforzare le attuali tendenze all’innovazione logistica, con sviluppo di soggetti multimodali in grado di vendere “accesso ai servizi” e non “chilometri percorsi”;

7) chiedere un potenziamento della rete ferroviaria, coerente con il quadro di integrazione dei servizi di trasporto passeggeri e merci; l’attenzione va focalizzata sulla capacità dei grandi nodi metropolitani e sugli itinerari dei principali servizi merci; in questo senso occorre anche una pausa di riflessione sulle nuove linee AV, in modo da avviare i necessari approfondimenti sulle modalità di accesso e d’uso di questa rete, in un’ottica di alta capacità ferroviaria;

8) intervenire sulla rete stradale in primo luogo sulla gestione delle reti esistenti, estendendo politiche di regolazione adeguate (park e road pricing), ma anche incentivando la penetrazione delle tecnologie ITS (Intelligent Transport System). E’ auspicabile a questo fine l’introduzione di strumenti innovativi di regolazione della mobilità basati principio del “chi inquina paga” quali l’introduzione della congestion charge (ticket d’ingresso nelle città, tariffe autostradali differenziate per fascia oraria o tipologia d’autovettura). In secondo luogo occorre realizzando le “strade che servono”, procedendo ad interventi mirati, volti a garantire la necessaria capacità agli spostamenti dispersi di media e breve percorrenza, senza incentivare l’uso del mezzo privato sulle lunghe distanze,

9) chiedere al Governo nazionale che venga ripreso il Programma Nazionale Strategico Veicoli, già contenuto nel Piano Generale dei Trasporti e della Logistica del 2001, ed il suo ulteriore affinamento a favore dell’introduzione dei motori a metano e di quelli ibridi (sperimentando anche formule innovative, finalizzate ad incentivare la modularità dei componenti veicolari e dunque la possibilità di sostituzione parziale di quelli obsoleti);

10) chiedere al Governo nazionale di orientare le tecnologie attuali verso gli usi più efficienti, contrastando in particolare le attuali tendenze all’aumento delle cilindrate, e favorendo l’introduzione di veicoli più piccoli e leggeri, adatti all’uso metropolitano ed individuale, oggi prevalente.

Esistono, inoltre, problematiche specifiche riguardanti i costi esterni (impatto ambientale e sulla salute) del trasporto delle merci e del traffico turistico trans-alpino e intra-alpino, che riguardano l’ecoregione delle Alpi, individuata come area sensibile da tutelare e valorizzare dalla Convenzione delle Alpi, che le Regioni hanno cominciato ad affrontare, insieme agli altri enti pubblici, ma che necessitano di una concertazione tra i vari livelli amministrativi (nazionale, regionale e locale) che serva a governare la domanda di mobilità, invertendo le tendenze attuali dello squilibrio modale.

Per quanto riguarda il traffico merci, bisogna rilevare (come diffusamente ricordato nel dossier “Il traffico alpino tra globalizzazione e sostenibilità”, elaborato da Polinomia per il WWF Italia) che il traffico merci transalpino tra il 1984 e il 2004 è più che raddoppiato, passando da circa 70 a 165 milioni di tonnellate l’anno (ogni 5 anni si registrano 25-30 milioni di t in più), con un tasso di crescita medio annuo del 4,3%.

Se si esamina la ripartizione del traffico transalpino tra strada e ferrovia, è immediato osservare che c’è una notevole differenza tra i tassi di crescita tra i due “modi”: mentre la strada è cresciuta del 300% (passando dai 38,5 milioni di t/a ai 119, 0 del 2004) con un tasso medio del 6% l’anno; la ferrovia ha avuto nello stesso periodo un incremento pari al 39% (erano 34,9 le t/a trasportate nel 1984 e nel 2004 sono 48,7),con un tasso medio di crescita dell’1,7%.

Diventa quindi d’attualità, anche grazie all’introduzione di norme nella Legge Finanziaria 2007 in attuazione della Direttiva comunitaria eurovignette, lo strumento. mai seriamente analizzato in Italia, della tassazione dei transiti, quale “calmiere” della domanda, come strumento gestionale attivabile anche in relazione ai vincoli di capacità esistenti ai diversi valichi (in particolare alle gallerie del Frejus, del Monte Bianco e del Gottardo). In questo senso l’Italia, vista la rilevanza del suo ruolo geo-politico nelle Alpi, dovrebbe avere la capacità di proporre agli altri Stati confinanti un dispositivo graduale di tassazione dei transiti alpini da modulare a seconda delle direttrici e delle regolazioni esistenti negli altri Paesi.

Per quanto riguarda il traffico turistico, bisogna rilevare (come diffusamente ricordato nel dossier “Vette In/accessibili: il turismo alpino nell’era della motorizzazione di massa”, elaborato da Polinomia per il WWF Italia) che con almeno 60 milioni di arrivi e 270 milioni di pernottamenti l’anno, le Alpi rappresentano una delle principali regioni turistiche non solo d’Europa ma di tutto il mondo.

Il problema peculiare dell’Italia è che, al contrario dei Paesi confinanti (i francesi hanno puntato su strutture alberghiere e para-alberghiere; gli Svizzeri sui grandi alberghi; gli austriaci e i tedeschi su una struttura ricettiva di medio-piccola dimensioni - ad esempio incentivando l’affitto di camere -; gli sloveni su un modello diffuso) si è puntato quasi ovunque allo sviluppo delle stazioni turistiche, tramite la realizzazione di seconde case, grazie a capitali esogeni: è il caso delle principali stazioni di Limone Piemonte, Sestriere, Bardonecchia, Courmayeur, Cervinia, Bormio, Madonna di Campiglio, Cortina d’Ampezzo.

E’ così che l’Italia che presenta la maggiore movimentazione turistica complessiva con 275 milioni di presenze (pari al 42% del totale) presenta ben il 71% delle presenze in abitazioni secondarie, mentre la Francia ha il 61% in abitazioni secondarie, la Svizzera il 56%, l’Austria il 21%, la Germania 0%, la Slovenia il 44%. E gli spostamenti degli italiani verso le località turistiche alpine avvengono per l’85% in automobile. Le maggiori concentrazioni di traffico turistico, in valore assoluto si registrano nelle Province di Trento e Bolzano, seguite da quelle di verona, Belluno, Toino, Brescia ed Aosta. Le maggiori densità di traffico nella Valle dell’Alto Adige (tra Verona e Bolzano), in Val Susa, nella Media e Bassa Valle d’Aosta, nel Lario orientale, in Val Seriana, Val Cavallina e in Val Canonica, in Valle Isarco, nel bacino dell’Avisio e nella valle del Piave tra Feltre e Belluno. I maggiori consumi energetici si registrano nella Provincia di Trento e di Bolzano e in quelle di Verona, Belluno e Torino. Le emissioni di CO2, che ammontano nel complesso nell’arco alpino in 226 mila di t/a, vedono prevalere la Valle dell’Adige (con 67 mila t/a in Provincia di Trento, 35 mila in quella di Bolzano e 19 mila in quella di Verona).

Il ché significa, osservando tutti questi dati e coniugando la scelta nell’offerta di strutture ricettive e i dati del traffico, che nel Nord Italia l’effetto città è stato riprodotto nelle nostre montagne, come d’altra parte risulta già evidente dai fenomeni analizzati più sopra. Il ché dovrebbe obbligare le amministrazioni pubbliche a concertare una serie di misure concrete che vanno: dalla limitazione del traffico automobilistico al pedaggiamento di specifici itinerari stradali; dallo sviluppo di schemi di accessibilità intermodali che favoriscano il trasporto collettivo all’estendibilità di servizi quali il car sharing e il car pooling.

· Proposte per conseguire l’obiettivo del Protocollo di Kyoto

Per conseguire l’obiettivo assegnato al nostro Paese per il rispetto del Protocollo di Kyoto della riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% rispetto ai valori del 1990, il WWF Italia ha calcolato che nel Nord Italia: invece di un aumento del traffico passeggeri su gomma, che dovrebbe raggiungere secondo le proiezioni il 90% del totale (oggi è all’87%) c’è bisogna di una sua diminuzione sostanziale, facendolo attestare attorno all’80%. Anche il trasporto delle merci su gomma invece di raggiungere il 76% (oggi nel Nord Italia è al 75%) dovrebbe diminuire attestandosi al 69%. Il traffico ferroviario per i passeggeri dovrebbe invece salire al 9% (invece del 6% attuale e del 5% tendenziale) e quello merci raggiungere il 13% (invece del 9% attuale e dell’8% tendenziale). La navigazione per le merci (invece dell’attuale 9% e dell’11% tendenziale) dovrebbe invece raggiungere nello scenario programmatico quota 13%.

Per il WWF Italia questa significa. rispetto alle diverse modalità di trasporto,
puntare nel Nord Italia su, almeno,
20 azioni concrete
considerate prioritarie:

Navigazione marittima

Non c’è bisogno di interventi proporzionali di adeguamento delle infrastrutture portuali, visti i consistenti margini di capacità che caratterizzano i diversi principali porti del Nord Italia (Savona-Vado, Genova-Voltri, Ravenna, Venezia e Trieste) che hanno visto in media complessivamente un aumento annuo di solo l’1.9% dei milioni di tonnellate di merce trattate.

Si deve sviluppare, invece, un efficiente trasporto marittimo a breve e medio raggio che richiede, come più volte ribadito dall’Unione Europea, una certa selezione e specializzazione dei porti. Nel contempo, al fine di evitare squilibri anche nell’instradamento via terra si deve perseguire un relativo equilibrio tra i sistemi portuali del Mar Ligure e dell’Alto Adriatico. E si chiede una forte regia pubblica per:

a) una migliore articolazione dei servizi di trasporto sul lato mare (rinfuse, container, traghetti, Ro-Ro) che sul lato terra (condotte, ferrovia, strada);

b) nella definizione delle priorità di intervento;

c) nel miglioramento delle prestazioni ambientali del settore della navigazione marittima.

Il trasporto ferroviario

Bisogna sviluppare le relazioni interurbane di media percorrenza molto penalizzate dall’offerta ferroviaria (si pensi soltanto a relazioni come Modena-Milano e Parma-Brescia) piuttosto che sulla domanda interurbana di lungo raggio.

Questo obiettivo si deve sposare con le logiche di sincronizzazione e cadenzamento del servizio: ad esempio, è assolutamente necessaria la formazione di una rete di servizi inter-city frequenti e veloci capaci di servire la maggior parte dei centri urbani medio-grandi (inclusi quelli oggi mal serviti come Bergamo, Reggio Emilia, Modena, Ravenna ecc.), attraverso coincidenze sistematiche nella grandi stazioni metropolitane (Torino, Milano, Verona, Padova-Venezia, Genova, Bologna). Inoltre, è necessario potenziare i servizi regionali che si dipartono dalle grandi stazioni metropolitane e costruire una robusta rete di servizi di rango intermedio (diretti o interregionali).

Per quanto riguarda il traffico merci, i deficit di capacità in parti consistenti della rete consente di sfruttare importanti riserve di capacità tra cui in particolare:

a) diverse linee di adduzione ai valichi alpini (Frejus, Sempione, Brennero, Tarvisio);

b) buona parte della rete del Piemonte orientale (tra Domodossola, Novara ed Alessandria) e della Lombardia occidentale (Pavia, Piacenza e Cremona);

c) la maggior parte dei collegamenti tra Emilia Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia. In particolare vale la pena di osservare che le attuali riserve di capacità, esistenti sulle linee di adduzione ai valichi alpini consentirebbero di incrementare il traffico internazionale ferroviario di tre volte rispetto all’odierno.

Il trasporto pubblico locale

Bisogna ridimensionare l’intervento generalizzato con strutture pesanti quali quelle delle nuove linee metropolitane che sembrano capaci di attrarre livelli di domanda sufficienti soltanto su alcune direttrici interne alla città di Milano (essendo dubbio che ciò possa avvenire per città come Genova e Torino), mentre in città più piccole come Bologna, Brescia, o addirittura Modena e Monza questa scelta più che da esigenze tecnico-economiche sembrano dettate da fattori di “prestigio”.

Per la taglia media di gran parte delle città del Nord Italia la scelta migliore appare la tecnologia tranviaria, che è stata intrapresa (come in molti Paesi dell’Europea centrale e settentrionale) nei principali poli urbani del Nord-Est come Bologna, Padova, Verona e Venezia (Mestre), ma anche da aree metropolitane di dimensione più ridotta, quali Bergamo, Como e Udine. Inoltre, bisogna prevedere di potenziare e proteggere le sedi e le corsie per il trasporto su gomma.

Infine, bisogna rivedere profondamente l’organizzazione complessiva del servizio garantendo l’estensione delle coperture orarie ed in alcuni casi di quelle territoriali che servano la città diffusa. Mano a mano che si procede verso contesti di diffusione urbana e/o bacini di carattere marginale possono venire in aiuto i modelli organizzativi dei servizi a chiamata e/o del taxi collettivo.

Il trasporto stradale

Per il trasporto stradale si devono configurare una serie di interventi sia gestionali che infrastrutturali:

a) le politiche di gestione del traffico devono incentivare i comportamenti virtuosi che in particolare prevedano un’integrazione dei mezzi di trasporto individuale su gomma all’interno di catene intermodali opportunamente configurate;

b) nell’ambito dell’autotrasporto merci si deve avere una valorizzazione del ruolo delle grandi imprese intermodali e una razionalizzazione della struttura dei costi, che dovrebbe comportare una diminuzione delle voci fisse a fronte di un incremento anche sensibile di quelle variabili (in particolare i pedaggi autostradali);

c) bisogna intervenire sulla struttura dei costi variabili anche nel caso dei trasporti individuali in un contesto di internalizzazione delle esternalità;

d) segnali di costo, legati per esempio alla variazione dei prezzi a seconda dell’ingombro degli autoveicoli, dovrebbero essere applicati anche nel caso della sosta.
Si propone, poi, una diversa gestione della rete autostradale, basata sulla distinzione tra le tratte che mantengono un orientamento primario al supporto della mobilità di medio-lunga percorrenza e quelle che invece sono a sostegno di una mobilità di tipo metropolitano. In contesti dove la capacità stradale è destinata ad essere strutturalmente scarsa (poli di Torino, Milano-Varese-Como-Lecco-Bergano, Vicenza-Padova-Venezia-Treviso, Savona-Genova-Sestri-Levante e Modena-Bologna) si può far leva sulle tecniche di controllo telematico applicate in molti Paesi che consentono di superare il tradizionale dualismo tra autostrade “aperte” e “chiuse”.

La mobilità ciclopedonale

La mobilità ciclopedonale è strettamente connessa all’aumento delle condizioni di sicurezza delle strade urbane.

La civilizzazione dei comportamenti di guida urbani è importante anche sotto il profilo del riequilibrio modale che deve passare: attraverso la realizzazione di piste o percorsi separati e protetti, ma anche attraverso la protezione dei percorsi promiscui.

Di grande interesse è anche la costituzione di collegamenti suburbani e anche extraurbani, almeno ai limitatamente ai contesti densi della città diffusa, in particolare tenendo conto che la bicicletta nelle ridotte distanze medie può rappresentare un’alternativa all’uso dell’auto, come dimostrano le esperienze consolidate nei Paesi Bassi o in Danimarca.

Il trasporto aereo

Anche in questo caso si deve intervenire:

a) sull’innovazione tecnologica per ottenere sensibili miglioramenti delle performance ambientali delle aeromobili;

b) considerato l’elevato impatto della navigazione aerea bisogna orientarsi su modelli di esercizio orientati verso segmenti di domanda ad elevato rapporto tra mobilità servita e numero di movimenti effettuati (mirando alla mobilità a lungo raggio, oltre i 400-500 km con l’impiego di aeromobili di medio-grandi dimensioni);

c) considerata l’ampia capacità residua dei 6 principali aeroporti di livello regionale (Torino, Genova, Verona, Venezia, Trieste, Bologna) bisogna scoraggiare le numerose iniziative localistiche per la realizzazione di nuovi scali regionali:

d) bisogna garantire l’integrazione tra servizi aerei a lungo raggio e servizi ferroviari (od automobilistici) di breve e medio raggio a partire dall’aeroporto di Milano-Malpensa (per il suo ruolo essenziale di gateway per l’Italia settentrionale;

e) l’accessibilità ferroviaria deve essere potenziata anche sugli altri scali di livello regionale (con la realizzazione di nuove stazioni o al più brevi tratte per passanti in variante per servire gli aeroporti di Genova, Bergamo, Venezia, Trieste e Bologna);

f) devono essere cancellate le rotte aeree di breve e brevissimo raggio (come quelle dagli aeroporti del Nord Italia per Genova e Bologna).

Con riguardo a questo specifico settore si deve specificare, inoltre, che il WWF Italia:

a1) appoggia la proposta di direttiva europea sull’introduzione di un meccanismo di emission trading per l’aviazione, richiedendo tuttavia un’allocazione onerosa delle quote, ed un meccanismo separato dal sistema di emission trading industriale oggetto della direttiva 87/2003/CE;
a2) chiede l’abolizione dei privilegi fiscali concessi alla mobilità aerea, quali l’esenzione IVA per i biglietti aerei;
a3) chiede che venga promossa la penetrazione tecnologica di strumenti in grado di offrire lo stesso servizio della mobilità aerea, quali la videoconferenza, nei settori a maggiore domanda di trasporto: impresa, servizi, amministrazione pubblica.
Allegato n. 1

Il rispetto del Protocollo di Kyoto
e il ticket d’ingresso (congestion charges)
applicato a Londra


Le politiche di riduzione delle emissioni di CO2 concentrate nelle aree urbane a maggiore densità, attraverso l’introduzione di “congestion charges” (pedaggi da congestione), determinano un pari raggiungimento di obiettivi ambientali di riduzione delle emissioni inquinanti ad impatto locale (NOx, VOC, PM).

L’esperienza di Londra e l’introduzione di un ticket d’ingresso in città con un costo proporzionale al coefficiente d’emissione delle automobili costituisce:

- un efficace strumento di riduzione delle emissioni di CO2

- un definitivo strumento di abbattimento degli inquinanti locali nell’area metropolitana

- uno strumento economico in grado di dissuadere l’impiego del mezzo privato per il singolo favorendo l’uso collettivo

- uno strumento economico per indirizzare il consumatore all’acquisto di macchine a minore emissione di CO2 (nb non un generico incentivo all’acquisto di Euro4)

- uno strumento economico in grado di recuperare, anche attraverso anticipi del settore finanziario, ingenti risorse a livello locale (non altrimenti recuperabili attraverso la fiscalità ordinaria) da destinare direttamente al miglioramento della mobilità nell’area interessata dal provvedimento

- uno strumento in grado di restituire spazio e sostenibilità alle aree urbane

Il provvedimento di Londra è caratterizzato dalla centralità delle politica dettata dal Protocollo di Kyoto, e ha una ricaduta positiva su diversi indicatori locali.

Il provvedimento è caratterizzato da un’estrema semplicità amministrativa riassumibile in poche righe:

libera circolazione per le autovetture ad emissione di CO2 inferiore ai 120gCO2/km, £8 (12€) per emissioni comprese tra i 120 e i 225gCO2/km, la grande maggioranza di autoveicoli, £25 (35€) al giorno per emissioni superiori ai 225gCO2/km.














Allegato n. 2

Le autostrade e le strade a grande scorrimento
Previste dalle Regioni del Nord Italia

L’elenco di autostrade e strade di grande scorrimento riportato qui sotto è tratto dalla ricognizione sulle Infrastrutture Prioritarie regionali (progetti nuovi e in corso di realizzazione) effettuata dal Ministero delle Infrastrutture il 19 novembre 2006 e dai progetti in corso di definizione su iniziativa di alcune amministrazioni regionali.

Nell’elenco vengono riportati i progetti di maggior rilievo e non una serie di interventi minori, che riguardano il potenziamento e la riqualificazione di strade statali.

Emilia Romagna

Nuovi interventi

Passante autostradale di Bologna: variante di tracciato all’A14.
Collegamento autostradale Campogalliano-Sassuolo: bretella di collegamento tra A1, A22 e SS467
Bretella autostradale di Castelvetro piacentino: tra il casello di Castelvetro piacentino e la SS10 Padana inferiore
A14: realizzazione terza corsia tra Rimini Nord e Pedeso

Friuli Venezia Giulia

Nuovi interventi

Raccordo autostradale Villesse-Gorizia: prosecuzione A4 Venezia-Trieste
Completamento Corridoio 5: serie di interventi tra cui la Tangenziale Sud di Udine il collegamento tra SS 464 e Sequals
A4 Venezia-Trieste: ampliamento a tre corsie del tratto Quarto d’Altino-Villesse

Liguria

Nuovi interventi

Gronda autostradale di ponente: collegamento A10 con A7 e raccordo con Rapallo-Santa Margherita Ligure
SS1 Aurelia bis: tratte imperiesi, savonesi e spezzine

Lombardia

Nuovi interventi

Autostrada Pedemontana Lombarda: Dalmine, Como, Varese, Valico del Giaggiolo e opere varie connesse – tratto Vimercate-Malpensa, I lotto tangenziale di Varese e di Como
Autostrada Brescia-Bergano-Milano
Autostrada regionale Cremona-Mantova
Raccordo autostradale Valtrompia
Accessibilità valtellina
Tangenziale est esterna di Milano
Completamento Tangenziale Nord di Milano: tratto Rho-Monza e terza corsia Milano-Meda




Lombardia/Piemonte

Nuovi interventi

Autostrada Broni/Strabella-Pavia-Mortara: collegamento autostradale tra la A26 e la A21, con svincolo di raccordo all’A4

Lombardia/Emilia Romagna/Veneto

Nuovi interventi

Raccordo autostradale CISA: Fontevivo (PR) – Autostrada Brennero Nogarole Rocca (VR)

Piemonte

Nuovi interventi

Pedemontana piemontese: tratto Rolino-Masserano-Romagnano Sesia; tratto Biella – Autostrada A4 Torino-Milano; raccordo autostradale Strevi-Predosa
Autostrada A4: adeguamento tratto Novara-Milano
Raddoppio del tunnel autostradale del Frejus

Interventi in fase di realizzazione

Autostrada Asti-Cuneo

Piemonte/Liguria

Nuovi interventi

Bretella autostradale Albenga-Millesimo-Predosa

Valle d’Aosta

Seconda canna del traforo autostradale del tunnel del Monte Bianco

Veneto

Nuovi interventi

Autostrada Valdastico Nord: collegamento area vicentina con l’asse del Brennero
A4 Venezia-Trieste: ampliamento a tre corsie: tratto Quarto d’Altino-Villesse
Superstrada Pedemontana Veneta
Sistema di tangenziali venete di Verona, Vicenza e Padova parallele alla A4

Interventi in fase di realizzazione

Passante autostradale di Mestre
Completamento A28 Sacile: Conegliano, lotto 29

Veneto/Friuli Venezia Giulia

Collegamento autostradale A23 Udine-Carnia-Tarvisio e A27 Mestre-Belluno

Veneto/Emilia Romagna

Nuovi interventi

Romea autostradale (Orte-Mestre): potenziamento dell’E25 da Orte a Ravenna e nuovo collegamento da Ravenna a Venezia-Mestre

Allegato n. 3

La Legge regionale della Lombardia (LR 24/2006)
sulla prevenzione e la riduzioni delle emissioni in atmosfera

Al di là dei rilievi sulle competenze istituzionali nazionali e comunali (sui divieti di circolazione, i limiti al traffico e le sanzioni previste), sollevati dal Governo nazionale dinanzi alla Corte Costituzionale, che hanno un certo fondamento, la LR 24/2006 (meglio nota come Legge quadro antismog) presenta una serie di disposizioni e misure interessanti, che dimostrano la consapevolezza riguardo alla necessità di una politica integrata, sistematica e onnicomprensiva che voglia davvero perseguire l’obiettivo nei settori civile, industriale ed agricolo della prevenzione e riduzione delle emissioni in atmosfera.

La LR 24/2006 “Norme per la prevenzione e la riduzione delle emissioni in atmosfera a tutela della salute e dell’ambiente” contiene disposizioni e misure per:

- programmare su scala regionale interventi per il risanamento della qualità dell’aria
- integrare gli strumenti di monitoraggio e valutazione della qualità dell’aria
- promuovere accordi con le imprese e con gli enti locali per il rispetto del Protocollo di Kyoto
- favorire l’adozione di sistemi di gestione ambientale nel settore produttivo
- migliorare il rendimento energetico nell’edilizia
- incentivare l’utilizzo delle risorse geotermiche
- promuovere l’utilizzo delle biomasse in ambito civile
- disincentivare il traffico veicolare privato
- migliorare il servizio pubblico locale e la mobilità
- sviluppare la mobilità ciclistica e pedonale
- prevenire e ridurre le emissioni provenienti da attività agricole
- promuovere la produzione energetica agro-forestale

E’ proprio questa capacità di concepire e affrontare la complessità dl problema con politiche coordinate, che è forse l’elemento caratterizzante più positivo del provvedimento nel suo complesso.

Per quanto riguarda le singole misure, di un certo interesse sono: a) le iniziative congiunte tra Regione e Camere di Commercio per favorire l’adozione nel settore produttivo di sistemi di gestione ambientale e l’adozione di nuove tecnologie per il risparmio di energia e materia; b) l’incentivazione della risorse geotermiche a bassa entalpia e delle pompe di calore per il teleriscaldamento ed i teleaffrescamento degli edifici; c) l’integrazione del trasporto pubblico locale su gomma, con quello ferroviario e metropolitano; d) la promozione della mobilità ciclistica e pedonale attraverso la realizzazione di percorsi e zone protette; e) gli interventi di gestione sostenibile e incremento del patrimonio forestale al fine dell’assorbimento di carbonio atmosferico.

Suscitano invece delle perplessità le singole misure riguardanti: a) la mancata indicazione dell’obbligo di riconversione a metano per gli impianti termici civili alimentati con olio combustibile e carbone nei centri urbani metanizzati; b) l’istituzione dell’inventario regionale dei depositi di carbonio assorbiti e stoccati dagli ecosistemi forestali, che se male applicata può dare adito a interpretazioni distorte sulla compensazione della quote di emissione; c) la superficialità con cui viene affrontata e promossa la filiera delle fonti energetiche rinnovabili di origine agroforestale e agro-alimentare e di produzione dei biocombustibili.

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