9.22.2005

Prodi: «Tremonti ha portato l'Italia al degrado» La prima, immediata, reazione di Romano Prodi di fronte al ritorno di Giulio Tremonti al ministero de


La prima, immediata, reazione di Romano Prodi di fronte al ritorno di Giulio Tremonti al ministero dell’economia è durissima: «Non è una questione personale, Tremonti ha portato il Paese nella situazione in cui ci troviamo con questo degrado, con il degrado nei conti, con il crollo dell'immagine di tutto il Paese».

«Dalla padella nella brace», chiosa il segretario Ds Piero Fassino, che giudica la nomina di Tremonti «un atto di arroganza e insensibilità verso gli italiani» e definisce il nuovo ministro dell’economia «il principale responsabile del disastro economico in cui versa il paese».

Per il presidente della Margherita Francesco Rutelli, «quando si fanno troppe riunioni al chiuso si perde ogni relazione con la realtà e gli italiani in carne ed ossa. Se pensano di aver risolto la crisi con la nomina di un ministro, scaricato un anno fa, dimostrano di aver perduto ogni presa con la realtà, di vivere in un mondo lontanissimo dagli italiani e dalle loro attese».
E intanto il segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti invita alla mobilitazione: «Le opposizioni per il bene del Paese debbono ingaggiare una grande battaglia sulle questioni sociali che sono all'origine della crisi di governo e decretarne così la sua fine».

Dimissioni del governo, una legge finanziaria seria e nuove elezioni: era stata questa la richiesta dell’opposizione prima della nomina di Tremonti. Lo sarà anche nei prossimi giorni.

di red

Tremonti bis, Fazio fuori. Follini candida Casini


di red
Giulio Tremonti sale al Quirinale: è lui il nuovo ministro dell'economia. Berlusconi, messo alle corde dagli alleati, costretto a sfiduciare Fazio («la sua permanenza non è più opportuna») e sé stesso. Il premier accetta di aprire la discussione sulla leadership. Follini non se lo fa dire due volte: «Non è lui il candidato ideale. Primarie nella Cdl: ci sarà un candidato Udc».

Il governo è finito

di EZIO MAURO

È l'ultimo atto di un'avventura politica che sta correndo verso la sua fine. Una fine che rischia di travolgere la credibilità del Paese, insieme con un governo che ormai la sua credibilità l'ha consumata da tempo.

Nello sfacelo della maggioranza, c'erano almeno quattro focolai di crisi, accesi tutti insieme: una finanziaria allo sbando, una legge elettorale ambigua, una devolution pericolosa e il caso Fazio a giganteggiare nella sua evidente anomalia, trasformata giorno dopo giorno in una prova concreta di impotenza della leadership berlusconiana, davanti al potere extra-repubblicano che teneva in piedi il Governatore oltre ogni decenza.

Per funzione, prima ancora che per convinzione, il ministro del Tesoro era stato l'unico (dopo Tremonti davanti allo scandalo Cirio e Parmalat) a insistere nel dire che il Governatore doveva andarsene, perché col discredito accumulato danneggiava gravemente l'Italia.

Il Capo del governo per più di un mese è stato incapace di assumersi la responsabilità che gli compete, pronunciando le parole necessarie e sufficienti per riportare alla normalità una crisi istituzionale gravissima: il Governatore non gode più della fiducia del governo.

Davanti all'ambiguità colpevole del Presidente del Consiglio, che rafforzava il potere immateriale di Fazio mentre indeboliva l'Italia, il ministro del Tesoro non poteva ormai fare altro che dimettersi. Lo ha fatto davanti ad un assalto elettorale alla Finanziaria da parte della maggioranza e, soprattutto, davanti alla conferma che Fazio sarà domani a Washington, a rappresentare la Banca d'Italia di fronte a un'istituzione che la mette sotto accusa clamorosamente. Fazio sarà al FMI perché il governo non ha avuto il coraggio di fare il suo dovere sfiduciandolo, e dunque ha implicitamente sfiduciato Siniscalco. Come Tremonti, anche il suo successore si dimette. Fazio, nel momento della sua maggiore debolezza, è dunque più forte di due ministri della Repubblica.

Ma proprio questo rivela la fragilità politica del governo, che in pochi mesi perde il secondo ministro dell'Economia, dopo aver avvicendato tre ministri degli Esteri e due ministri degli Interni. Deve essere chiaro a tutti gli italiani che la responsabilità di questa crisi è di Silvio Berlusconi, e della sua incapacità di reggere la responsabilità del governo. Anche se mancano pochi mesi alla fine della legislatura e solo otto giorni alla presentazione della Finanziaria, Berlusconi deve andarsene. Un passaggio tecnico garantisca l'approvazione della manovra. Poi si vada al voto, per salvare il salvabile e chiudere finalmente questa sciagurata avventura.

(22 settembre 2005)

9.21.2005

Simon Wiesenthal, la scomparsa di un giusto

Memoria. Muore all'età di novantasei anni il ''cacciatore dei nazisti'' sopravvissuto al campo di sterminio di Mauthausen. Una vita dedicata alla giustizia, non alla vendetta

Stefano Rizzo

Simon Wiesenthal ha sicuramente mantenuto fede alle obbligazioni che si era dato da quando, liberato dal campo di sterminio di Mauthausen, decise di “cercare gli assassini di tutte le vittime, non solo le vittime ebree” di “battersi per la giustizia”. E ha continuato a farlo per tutta la vita fino a quando, nell’aprile del 2003, poté dichiarare: “sono sopravvissuto a tutti gli assassini. Se ce ne sono ancora, sono troppo vecchi o deboli per essere processati. Il mio lavoro è finito.”
Qualche mese dopo, nel dicembre del 2003, la compagna di tutta una vita, la bella Cyla dai capelli biondi, che grazie ad essi era riuscita a fuggire allo sterminio facendosi passare per cattolica polacca, lo aveva lasciato. Simon Wiesenthal le è sopravvissuto quasi due anni, ha continuato a scrivere e a lavorare, a raccontare la propria vita e a interrogarsi sul senso e sul valore della propria missione, come aveva fatto nel 1967 con il libro di memorie “Gli assassini in mezzo a noi”, nel1989 con “Giustizia e non vendetta” e da ultimo, nel 1998, con “Il girasole. I limiti del perdono”. Il 20 settembre è morto serenamente nel sonno nella sua casa di Vienna all’età di 96 anni, la morte di un giusto.
Era nato nel 1908 a Buczacz, una cittadina polacca dell’impero austroungarico, ora parte dell’Ucraina (dove ancora oggi i polacchi – non quelli ebrei perché sono stati tutti sterminati -- vengono perseguitati dal regime). Il padre era morto durante la prima guerra mondiale. Terminati gli studi secondari, il giovane Simon aveva cercato di iscriversi al politecnico di Lvov, ma era stato respinto perché ebreo. Allora era andato a studiare a Praga e, conseguita la laurea in ingegneria, era ritornato a Llov dove, nel 1936, si era sposato.
La vita felice della giovane coppia durò solo tre anni. Nel 1939 iniziò la tempesta di acciaio che spazzò tutta l’Europa per cinque anni e mezzo, provocando, oltre alle immani distruzioni materiali, decine di milioni di morti, centinaia di milioni di profughi, e realizzando l’orrore peggiore e senza precedenti nella pur sanguinosa e crudele storia dell’umanità: la Shoah, “la desolazione” (come fu in seguito chiamata), lo sterminio di sei milioni di ebrei.
All’inizio la morte per gli ebrei di Llov non venne dai tedeschi, ma dai russi entrati in città grazie al patto di non aggressione tra Unione sovietica e Germania. Il patrigno di Wiesenthal venne ucciso e così un suo fratellastro; lui stesso e la moglie, considerati “borghesi degenerati”, furono privati di tutto e solo corrompendo un funzionario della polizia segreta russa riuscirono a salvarsi dalla deportazione in Siberia.
Il peggio arrivò con il passaggio della città nelle mani dei tedeschi. Prima ancora di attuare la “soluzione finale”, lo sterminio sistematico di tutti gli ebrei europei, i tedeschi lo praticarono in Polonia e nei paesi baltici, spesso aiutati dalle autorità locali e dalla cittadinanza. Iniziò per Simon e Cyla il lungo viaggio nell’inferno dei campi di concentramento, dei campi di lavoro coatto e dei campi di sterminio. Lei riuscì ad evadere, ma fu ripresa (anche se non riconosciuta come ebrea) e inviata ai lavori forzati in Germania; lui, grazie alle sue conoscenze tecniche, fu recluso in un campo di lavoro che provvedeva alla manutenzione delle ferrovie polacche. Riuscì a fuggire, ma fu nuovamente catturato e questa volta inviato a Mauthausen, un campo di sterminio. All’arrivo degli americani, il 5 maggio del 1945, stremato insieme a pochi sopravvissuti in una fetida baracca, pesava 45 chili. Quando, molti mesi dopo, poté riunirsi alla moglie apprese che 89 dei loro parenti erano stati uccisi.
Dopo la fine della guerra lavorò con il governo militare americano con l’incarico di raccogliere dati e svolgere ricerche sui criminali nazisti per i processi di Norimberga che iniziarono nel novembre del 1945. All’inizio, anche dopo Norimberga, gli alleati si mostrarono intenzionati a perseguire i colpevoli, ma presto subentrò la ragion di stato della guerra fredda: né russi né americani erano più interessati a processare gli esponenti nazisti, militari e civili, molti dei quali occupavano di nuovo posizioni di influenza nelle due Germanie, sia ad ovest che ad est. Anche gli ebrei che erano sopravvissuti ai campi di sterminio cercavano di venire a patti con l’orrore subìto; molti di loro volevano dimenticare, metterselo alle spalle e iniziare una nuova vita.
Non così Wiesenthal. Con la scrupolosità e la tenacia che gli venivano dagli studi talmudici, con le capacità analitiche che gli venivano dagli studi di ingegneria, con la volontà di resistere che gli aveva consentito di sopravvivere nei campi di sterminio, costituì in due stanzette a Linz in Austria il Centro ebraico di documentazione e si mise immediatamente al lavoro.
Quello che è passato alla storia come “il cacciatore di nazisti” in realtà non si muoveva quasi mai dal suo piccolo ufficio ingombro di carte: lui faceva il lavoro analitico, ascoltava i testimoni, metteva insieme i brandelli di informazione più disparati, compilava i dossier. Sul “campo” ad indagare mandava uno dei tantissimi amici o collaboratori sparsi in tutto il mondo. Quando aveva identificato un criminale, aveva raccolto le prove della sua colpevolezza e scoperto dove si trovava, passava le informazioni alle autorità dei vari stati. Se queste, come spesso è successo, non intervenivano, si rivolgeva alla stampa, suscitava una campagna di indignazione e allora anche i governi riottosi erano costretti ad agire.
Nel corso degli anni, dopo che il centro di documentazione si trasferì a Vienna, furono centinaia i processi che Wiesenthal e i suoi pochi collaboratori aiutarono a istruire e i criminali che assicurarono alla giustizia. Da quello, famosissimo, di Adolf Eichmann, catturato nel 1959 in Argentina da agenti segreti israeliani, portato in Israele e qui processato e impiccato; alla cattura di Karl Silberbauer, l’ufficiale della Gestapo che aveva portato la piccola Anna Frank alla sua morte; alla cattura di Franz Stangl, il comandante di Treblinka; alla cattura a New York di una certa signora Hermine Ryan, che con il vero nome di Braunsteiner aveva ordinato il massacro di centinaia di bambini nel campo di Majdanek. E molti, molti altri ancora.
Nonostante la sua attività indefessa, per oltre 50 anni, non tutti e neppure la maggior parte dei circa 90.000 criminali di guerra nazisti sono stati catturati, e molti non sono stati neppure identificati. Le carte e le prove delle loro colpe sono state spesso distrutte o nascoste per decenni -- come è avvenuto in Italia -- negli armadi segreti di autorità compiacenti, che li hanno ignorati e forse soltanto ora, che molti dei colpevoli sono morti, hanno deciso di fare qualcosa.
Per il suo lavoro al servizio della giustizia Wiesenthal subì nel corso degli anni anche numerosi attentati da parte di neonazisti, e dovette anche assistere al riemergere di un antisemitismo, minoritario ma ugualmente pericoloso; ma non si lasciò mai trasportare dall’odio. Morendo ci ha lasciato un ultimo messaggio, che parla anche dei pericoli dell’oggi e del domani: “L’odio può essere allevato ovunque, l’idealismo può essere pervertito e diventare sadismo ovunque. Se l’odio e il sadismo si combinano con la tecnologia moderna l’inferno potrebbe scoppiare di nuovo ovunque.”

9.19.2005

«Il mondo ha bisogno dei progressisti, fermiamo la deriva di destra»

«L'Europa ha una grande forza. E deve saperla usare. L'Unione europea possiede enormi potenzialità ed è giunto il momento che abbandoni un po' della sua tradizionale diplomazia per far pesare, con decisione, la propria determinazione».

Poul Nyrup Rasmussen, già premier danese, presidente del Pse, il Partito del socialismo europeo, è tra gli animatori del "Global Progressive Forum" che si apre oggi a Milano all'interno della Festa nazionale de l'Unità. Per due giorni, il Forum raduna centinaia di persone, esponenti del mondo politico internazionale, leader di partiti, di sindacati, di associazioni indipendenti e di istituzioni mondiali. Una grande fetta del mondo progressista si ritrova qui per affrontare i temi del dialogo nell'era della globalizzazione e per fare il punto sulle grandi sfide aperte: lotta alla povertà, all'Aids, al terrorismo, all'unilateralismo militare, per il governo dell'economia e la difesa dei diritti.

Presidente Rasmussen, l'Europa ha una chance. Adesso. Ma sembra ferma. Anzi paralizzata. Che ruolo può svolgere al cospetto di sfide così impegnative?
È giunto il momento in cui l'Europa metta sul tavolo tutta la sua autorevolezza. È l'ora della grande sfida politica. Una sfida a tutto campo. Al presidente Usa, George Bush, dobbiamo essere capaci di dire, e noi lo diremo qui al Forum, che gli obiettivi del Millennium non si toccano e vanno perseguiti. Le recenti affermazioni dell'ambasciatore americano all'Onu sono inaccettabili. Dobbiamo impedire che l'amministrazione Bush trascini il mondo lontano. Per combattere il terrorismo e la criminalità c'è un estremo bisogno del Millennium.

Il compito si presenta arduo, le pare? Che significa darsi l'obiettivo di creare una "comunità progressista per riformare la globalizzazione"?
Non me lo nascondo: il compito è davvero impegnativo. Noi contestiamo a Bush d'aver trascinato il mondo troppo a destra. Va fermata questa deriva. Oggi il mondo ha bisogno di correre su altri binari. Vede, per anni si è faticato nei singoli Paesi per creare le condizioni in cui potesse operare una vera economia di mercato. Adesso, quest'economia è diventata internazionale e, dunque, ha bisogno di regole per meglio funzionare. Io dico che per assicurare l'occupazione e per combattere la criminalità è necessario disporre di migliori regole internazionali. A Milano discutiamo anche di questo.

Come costruire un clima diverso? Come far lievitare un nuovo slancio progressista?
Dobbiamo dar corpo ad un'opinione pubblica mondiale. Nella storia americana s'è già visto come gli uomini più forti siano vulnerabili e sensibili alla pressione dell'opinione pubblica. Vedo la possibilità di una nuova alleanza nella società civile tra sindacati, partiti socialisti, personalità della società civile: tutti uniti per raggiungere gli obiettivi.

È un fatto, però, che non si avverte la presenza di un fronte progressista che elabora e produce risultati. In Europa, poi. Che fa il movimento socialista e socialdemocratico. Dopo l'esplodere dell'ultima crisi in Europa, s'è visto e sentito poco.
Ci siamo riuniti a Vienna e abbiamo deciso che, dopo quanto accaduto in Francia e Olanda, non è più tempo di stare a chiedere un nuovo referendum. C'è una precedenza, c'è un obbligo: incassare risultati concreti sui nodi che preoccupano l'opinione pubblica. Si tratta di dare risposte alle preoccupazioni quotidiane dei cittadini: la disoccupazione, la criminalità, la protezione dei minori, l'ambiente, l'istruzione. Questo è ciò che l'Europa deve fare. L'Europa non deve più essere vista attraverso porte chiuse.

Quali iniziative prenderanno i socialisti europei? Può anticiparne qualcuna?
Abbiamo deciso con Gordon Brown, che rappresenta la Presidenza, che i ministri della famiglia socialista coordinino le proprie azioni in seno al Consiglio Ue. Intendiamo aprire una vera offensiva sulle politiche del lavoro in Europa. I leader del Pse si riuniranno alla vigilia del prossimo summit straordinario, in Gran Bretagna, alla fine di ottobre. Pensiamo a tre linee d'azione: sulla società attiva per intervenire nella politica del mercato del lavoro, sulla "società inclusiva" per affrontare gli aspetti più gravi dell'emarginazione, infine sulla dimensione europea per arrivare, al congresso del Pse, nel 2006, con una posizione condivisa sul modello sociale europeo.

Vale ancora l'esempio scandinavo?
Eccome. Dobbiamo saper coniugare sicurezza sociale e competitività. Si può fare in tutti i paesi dell'Unione. Certo, non pensiamo ad un modello valido per tutti. Ma a dei principi comuni, questo sì.

È un fatto, tuttavia, che si è ancora ben lontani dal coordinamento delle politiche economiche. Sarebbe un passo enorme.
Infatti. Basta con la teoria. I ministri dell'Economia si diano una mossa per assicurare a livello europeo investimenti concreti per la strategia di Lisbona: istruzione, sviluppo, politiche del lavoro, infrastrutture e trasporti. Per far questo non c'è bisogno di un nuovo Trattato. È questione di volontà politica. Possiamo riuscirci.

Tony Blair ha pronunciato un ambizioso discorso a luglio, all'inizio del semestre britannico. Ha detto: meno sussidi agricoli più ricerca. Poi, silenzio.
Blair può farcela. Ma non è semplice. Sarà più facile far crescere l'occupazione ma riformare la politica agricola è un'impresa. Spero in un compromesso entro dicembre. Io dico: Tony vai avanti, c'è bisogno di una riforma nell'Unione.

La questione cinese è diventata un tema di primo piano. La Cina è un pericolo?
Direi proprio di no. Quando, anni fa, il Giappone sbarcò in Europa con le sue macchine fotografiche si temette un ko. Poi fu chiaro che anche i nostri prodotti si affermavano a Tokyo. Ai dirigenti cinesi bisogna dire: noi apriamo i mercati ma voi dovete assicurare ai vostri lavoratori diritti e salari dignitosi. Vale per la Cina e vale per l'India. È il momento di garantire i diritti in ogni parte del mondo. Altrimenti non potremo spiegare ai nostri lavoratori il concetto di solidarietà mondiale.

L'Europa s'è sentita chiedere, in questi giorni, aiuto e assistenza da parte degli Usa, dopo la catastrofe provocata da Latrina. Non le sembra strano?
Oltremodo strano ma accade. L'Europa ha l'occasione per dimostrare, in quest'occasione, la propria forza e il proprio ruolo. Lo deve fare con gli Usa, a proposito del Millennium o della guerra in Iraq, lo deve fare con i paesi dell'Africa del nord con cui, a volte, si è usata sin troppa gentilezza. In Algeria, per esempio, scompare ancora della gente nel nulla oppure una donna laureata che fa la manager nel settore petrolifero guadagna soltanto 500 euro. Bisogna alzare la voce su questi aspetti di un mondo diseguale e violento. Prendiamo la Russia. Con Putin abbiamo parlato chiaro: o firmi il protocollo di Kyoto o niente mercato globale. Lui ha capito il linguaggio del potere e ha firmato. L'Europa ha la più forte economia del mondo e può dire ad alta voce ciò che vuole. Se lo vuole.

9.15.2005

Dalla vittoria alla sconfitta

IL SONDAGGIO. Gli esperti di Ipr Marketing hanno
calcolato che le nuove regole sposterebbero decine di seggi.
Ecco come i voti sotto il 4% truccano le elezioni
di SILVIO BUZZANCA


L'Unione alla Camera ottiene il 50 per cento dei voti popolari e solo 290 seggi: la Cdl si ferma al 45 per cento e si "appropria" di 333 seggi più 7 del premio di maggioranza: totale 340 sui 630 complessivi. La conferma che nella proposta di legge elettorale varata dal centrodestra si annida una meccanismo infernale arriva da uno studio dell'Ipr Marketing che ha simulato i risultati delle elezioni e l'assegnazione dei seggi sulla base di un sondaggio sulle intenzioni di voto relative al 13 settembre.

E il risultato non lascia dubbi: se si votasse oggi con il sistema escogitato dal tavolo tecnico attorno a cui si siedono Roberto Calderoli e gli altri saggi della Cdl ci troveremmo di fronte ad una incredibile truffa elettorale. Ancora più clamorosa se si pensa che con la legge attuale l'Unione otterrebbe ben 363 seggi, mentre il centrodestra si fermerebbe a 263.

I ricercatori dell'Ipr Marketing spiegano infatti che nell'Unione solo Ds, 21 per cento, Margherita, 12 per cento, e Rifondazione, 5,5 per cento, supererebbero la soglia di sbarramento fissato al 4 per cento. Gli altri partiti starebbero sotto e non supererebbero la soglia che permette di ottenere seggi e partecipare alla ripartizione del premio di maggioranza. Secondo i ricercatori i Verdi sarebbero fermi al 3,5 per cento, lo Sdi più Bobo Craxi al 3 per cento, il Pdci al 2 per cento, Di Pietro all'1,5 per cento, l'Udeur all'1 per cento e la Sbarbati allo 0,5 per cento.

Voti che sommati arrivano alla bellezza dell'11 per cento, percentuale praticamente da buttare nel cestino grazie al giochetto dello "scorporo" pensato dalla Cdl. Un marchingegno che porterebbe l'Unione a quota 39 per cento, mentre la Cdl raggiungerebbe il 43 per cento. Verrebbe infatti "punita" come coalizione con la perdita di un 2 per cento, ovvero i voti ottenuti dal Nuovo Psi e dai Repubblicani di la Malfa. Sarebbero vincenti invece il 18,5 per cento di Forza Italia, il 12,5 per cento di An, il 6,5 per cento dell'Udc e il 5,5 per cento della Lega.

L'Ipr Marketing non ha calcolato nelle coalizioni il 2 per cento dei radicali e l'1,5 per cento di Alternativa sociale di Alessandra Mussolini. Mentre, come al solito, l'1,5 per cento dei voti è considerato disperso verso altri partiti. La scelta dei ricercatori di collocare i radicali fuori dal centrosinistra però potrebbe avere un riflesso numerico importante perché fra Pannella, Sdi e parte del nuovo Psi è in corso un dialogo per la formazione di un nuovo soggetto politico che sulla carta potrebbe superare lo sbarramento del 4 per cento, riequilibrando la situazione a favore dell'Unione e rendendo più incerta la competizione per la vittoria finale.

Alla fine, commenta Antonio Noto, direttore dell'Ipr Marketing, "è palese il danno che scaturirebbe dal nuovo sistema per il centrosinistra che pur avendo un risultato migliore in percentuale, avrebbe meno seggi". Noto conclude anche che, nel caso di approvazione della nuova legge, "una possibile risposta politica potrebbe essere una lista unitaria di tutta la coalizione per non perdere i voti dei partiti minori".

L'Ipr Marketing però non si occupa solo di verificare gli effetti del nuovo meccanismo sulla composizione della Camera dei Deputati. Cerca di capire anche cosa ne pensano gli elettori, coloro che dovranno usare la nuova scheda elettorale. E il risultato è che il 51 per cento degli italiani è contrario a buttare nel cestino il tanto vituperato Mattarellum. Una percentuale che sale al 65 per cento fra gli elettori del centrosinistra: sono d'accordo anche il 47 per cento dei votanti non schierati e perfino un robusto 35 per cento di sostenitori della Cdl.

Favorevoli alle modifiche proposte si dicono invece il 31 per cento degli elettori. In questo caso dice sì il 55 per cento di chi vota Cdl, appena il 22 per cento di chi sceglie l'Unione e il 20 per cento di chi non si schiera. Resta un 18 per cento di indecisi. Non ha ancora un'opinione definita solo il 13 per cento di chi vota Unione e appena il 10 di chi sceglie la Cdl. Mentre la percentuale più alta di indecisione si riscontra fra chi non ha ancora scelto uno schieramento: non sa cosa dire o cosa fare il 23 per cento.

La Repubblica 15/09/2005

Monsignor Bettazzi: non è Prodi lo sfasciafamiglie

"E' superfluo dire che non è intenzione di Prodi sfasciare la famiglia. E nemmeno vuole - questo dicono le sue parole - mettere sullo stesso piano coppie di fatto e famiglie fondate sul matrimonio" afferma nell'intervista all'UNITA' monsignor Luigi Bettazzi, già a capo della diocesi di Ivrea e presidente per molti anni di "Pax Christi".
"Però - come uomo politico - deve misurarsi con un fenomeno evidente e affermato nella società che vuole governare, una situazione che coinvolge più di 3 milioni di italiani. Il problema - dice Bettazzi - è che ogni tema viene poi inquinato dalla bagarre, dalla voglia di tirar su qualche voto. Ma non è certo questo che si può imputare alla lettera di Prodi a Grillini, semmai è il chiasso che gli è stato montato intorno che rivela questa intenzione".
"Le parole dell'Osservatore Romano sono apparse virulente. Non è certo introducendo i Pacs che si "lacera inaccettabilmente la famiglia", come viene scritto, Poi ho letto di altri politici che sono montati sulla polemica, per vedere di cavarne qualcosa". Voti? "Credo di sì. Qualcuno si dice allarmato, accusa Prodi di fare un "tentativo goffo e delirante di ricerca di consensi". A me risulta che siano gli stessi che si son candidati alle prossime primarie. Peccato sia impossibile ragionare su certi temi senza cadere nelle etichette, fino ad arrivare ad effetti curiosi. Non dovrebbero essere proprio i più integralisti a vedere nei Pacs il male minore? Spesso mi chiedo: ma cosa sa la gente di questi patti di convivenza? Sono stati loro illustrati? E cosa ne sanno i politici che reagiscono in questo modo? I Pacs riconoscono una situazione di fatto che per molti è una preparazione al matrimonio. E consentono alcuni strumenti di tutela a persone che soffrono per non poter vivere appieno la propria vita. Non si tratta di legalizzare i matrimoni gay, anzi, è un modo per disciplinare altrimenti la materia così vasta d'implicazioni. E le leggi avanzate spesso rendono libere le persone". "La politica strumentalizza le parole, e poi le nega coi fatti: se stronco le possibilità di spesa dei Comuni, tartassandoli economicamente, metto in crisi servizi fondamentali come gli asili nido: e allora dov'é questa difesa della famiglia?", conclude monsignor Bettazzi.

Intervista all'unità del 14 settembre 2005

9.14.2005

Legge elettorale, il centrodestra vuole imitare Maradona

"Si torna al proporzionale". Tentativo di colpo di mano a sei mesi dalle elezioni. L'opposizione blocca la Camera. Intervista a Alfiero Grandi, deputato Ds

E' solo un accordo “tecnico”. Ma è il primo passo verso un blitz che cambierebbe le regole del gioco a pochi mesi dal voto. Il tavolo della Casa delle libertà ha ieri annunciato l’intesa sulla riforma elettorale proporzionale avanzata in precedenza dall’Udc. L'intesa prevede: un sistema basato sulle circoscrizioni con l'eliminazione dei collegi elettorali, mentre la soglia di sbarramento resterebbe ferma al 4% con un premio di maggioranza per la coalizione vincente. I seggi verrebbero distribuiti per metà col meccanismo delle preferenze e per metà con liste bloccate.
Ma si può modificare il sistema di voto alla vigilia della campagna elettorale? Le reazioni dell'Unione sono state durissime. Per i Ds, si tratta di "una truffa irricevibile". Anche Francesco Rutelli, Margherita, ha accusato la maggioranza di "ignorare il paese e pensare solo a sé". Per Fausto Bertinotti, Rifondazione, "questa legislatura si deve concludere con la sanzione del fallimento del governo e con l'inizio poi di un nuovo corso". Romano Prodi, dopo un vertice dell'Unione alla Camera, ha riassunto con parole durissime la situazione: "Cambiare la legge elettorale a poco più di sei mesi dal voto è una cosa indegna. Chi sa di perdere cerca di falsificare il risultato delle elezioni. Dobbiamo dare l'allarme a tutto il paese".
In Parlamento, il centrosinistra ha già iniziato a fare ostruzionismo a oltranza, a cominciare dalla proposta sull’inappellabilità delle sentenze attualmente in aula alla Camera. A Montecitorio, ieri, è mancato tre volte il numero legale e il voto è stato rinviato di un giorno. Di fronte alle proteste dell'opposizione, Pierferdinando Casini, presidente della Camera, si è lasciato andare a un poco imparziale: "Se c'è la volontà politica, e soprattutto se ci sono i parlamentari in aula, la riforma elettorale si può approvare". Del resto, Casini appartiene all'Udc, il partito ispiratore di questo colpo di mano che assomiglia a quello ormai passato alla storia di Diego Armando Maradona durante l'incontro Argentina-Inghilterra dei Mondiali del 1986.
E proprio su questo tentativo di colpo di mano della maggioranza abbiamo intervistato Alfiero Grandi, deputato Ds, ex sottosegretario alle finanze dei governi di centrosinistra.
In che cosa consiste l’accordo sul testo tecnico per la riforma elettorale, approvato all’unanimità dal centrodestra?
E' un disperato tentativo di vincere le elezioni pur sapendo che le perderà, perché è del tutto evidente che il trend elettorale è negativo per il centrodestra. Tentano disperatamente di limitare i danni.
Quale sarebbe il ragionamento politico che ispira la riforma?
Salvaguardare in termini di seggi le quattro forze principali della coalizione, fare in modo che il loro patto sia in realtà un patto scellerato, delineare un qualcosa che, in realtà, non è più un premio di maggioranza (cioè la coalizione che vince ha qualche deputato e senatore in più per governare) ma la coalizione che perderà avrà addirittura qualche deputato e senatore in più.
Questa eventuale riforma elettorale è la premessa della fine del bipolarismo?
E' sicuramente un attacco al bipolarismo, anche se entro certi limiti, in quanto la riforma è ispirata da una forza, l’Udc, che cerca di tenersi le mani libere per qualunque destino. Perché, se questa sciagurata legge dovesse andare avanti, non c’è dubbio che sia possibile immaginare in futuro schieramenti diversi da quelli odierni. Il patto, però, per adesso, avviene nel centrodestra: uno scambio tra la maggiore autonomia dell’Udc in cambio di una riconferma dell’alleanza per evitare insomma una sconfitta peggiore per tutti.
Quindi, questa riforma è ispirata da una fortissima ambiguità, come sempre accade con i provvedimenti del centrodestra. I centristi sono i battistrada di questo provvedimento. E questo è un fatto molto grave.
Quali livelli di percorribilità ha la riforma, dati i tempi e le regole istituzionali?
Spero nessuno, perché noi bloccheremo il Parlamento e faremo in modo che la riforma non abbia alcuna percorribilità con tutte le forme e le modalità possibili. Fino a far capire al centrodestra che questa riforma non la possono approvare.
Arriverete a chiedere, se sarà necessario, l’intervento del presidente della Repubblica?
Non credo che in questo momento sia opportuno chiamare in causa il presidente della Repubblica, perché interviene a leggi già approvate che poi controfirmare e promulgare. A quel punto, pensandoci bene, si potrebbe anche chiedere il suo intervento. Ma credo proprio che ci dovremo arrangiare da soli.
Angelo Notarnicola

9.11.2005

Berlusconi e il PIL!

9.07.2005

L’errore del premier? Aver mentito sull’economia


«Sa che titolo pensiamo di fare domani (oggi ndr) in prima pagina? Silvio portaci tutti a Tahiti». Perfetto. Vittorio Feltri, direttore di Libero, è uno che da sempre parla con Berlusconi. Lo reclama duro e puro, lo critica se fa il democristiano (cosa che per la verità accade di rado) e pubblicamente gli dà consigli: Silvio, vai avanti per la tua strada, fai le cose che vuole la gente. Ora che la strada di Silvio è una via crucis, perchè il paese non lo ama più e gli ex democristiani lo fanno arrabbiare, Vittorio Feltri non cambia idea.

Direttore, c’è una crisi di Berlusconi e del berlusconismo?

A me sembra una crisi dell’Udc.

Però.
Continuano a dire cose ragionevoli ma non si intravede la via d’uscita. Non si capisce cosa vogliono. Il centrodestra è in crisi, è chiaro. Lo si è visto nelle ultime elezioni, c’è perplessità e scontento nell’elettorato, lo si percepisce anche parlando con gli amici. Tutti mi dicono: va bene, ma che cosa vogliono questi qui?

Magari un altro candidato premier.

Quella è l’unica cosa chiara. Non si capisce chi dovrebbe essere però.

Casini?
Sì, e allora io mi immagino orde di elettori che assediano le urne vogliose di votare Casini. È ridicolo. Non c’è il senso delle proporzioni. Se non altro Berlusconi ha fatto un partito dal niente. È vero, ha i soldi, ma anche messo insieme la Lega al centrodestra, ha portato al governo quelli dell’allora Msi.. Casini ce lo ricordiamo tutti come portaborse di Forlani. Bisogna conoscere il paese. Non si penserà mica che mettendolo al posto di Berlusconi il malumore dell’elettorato finisce d’incanto e si vince?

Però tutto questo accade perché il premier è in crisi.

Ma questo lo sa anche lui. Tanto è vero che per rianimare le truppe è andato a ripescare Dell’Utri, la cui immagine non è delle più limpide, però è un buon organizzatore, in fondo lui riuscì a fare un partito. All’ultimo congresso di Forza Italia mi resi conto che era una cosa da ridere. Tutta quella gente che andava sul palco e che diceva come è bravo Berlusconi. E lui che ripeteva sempre le stesse cose. Un giovane che si volesse iscrivere oggi a Forza Italia che speranze dovrebbe avere? Non esiste più nessuna selezione democratica della classe dirigente del partito. Tutto avviene per cooptazione.

Qual è stato l’errore principale di Berlusconi in questi anni?

Risale all’11 settembre del 2001. Era al governo da pochi mesi aveva fatto qualche cosa, mi pare la legge sul falso in bilancio.

Non una gran riforma...

Diciamo una cosa non del tutto disinteressata. Però di fronte al disastro, alle Torri che cadono, alle borse che crollano, Berlusconi non si rende conto che l’economia, che già stagnava, era destinata a peggiorare. Sarebbe dovuto andare in televisione e dire: io ho promesso, ho fatto il contratto con gli italiani, ma qui è cambiato il mondo, dobbiamo ridimensionare il nostro programma. Avrebbe potuto dire cose serie e l’avrebbero capito.
Perché non l’ha fatto?
Perché lui si affida allo stellone. Era convinto che la fortuna sarebbe stata dalla sua parte e che i consumi avrebbero ricominciato a crescere. Non è andata così, allora ha cominciato a dire che lui il programma l’aveva realizzato. Tutto, compreso le Grandi Opere. Ma le ha viste solo lui. Io non ho visto nemmeno una piccola opera. Nemmeno la legge sulla diffamazione a mezzo stampa ha fatto. Perchè non gliene fraga niente...

Non sarà quello il problema?
È proprio questo il suo errore, non si interessa della gente.
Non è poco. Perché poi la gente lo capisce.
Di più: s’incazza.

E allora cambiare leader non è poi così surreale.
No, è come nel calcio. Se un giocatore ti pare stanco, lo cambi. Ma devi avere in mente tre nomi alternativi. Se dici Casini non ci sto.

Ma lei chi ha in mente?
Nessuno. Tanto perde anche lui. Così poi torna a fare il peone in Parlamento. La realtà è che con Berlusconi si perde, e senza Berlusconi non si vince.

Lei che dà spesso consigli al premier, cosa gli direbbe in questo frangente?
La situazione è marcita. Anzi è diventata esilarante. Basta vedere il caso delle intercettazioni sul caso Antonveneta pubblicate dai giornali. Berlusconi si scandalizza e fa preparare un progetto per inasprire le pene per i giornalisti. La prima cosa che mi vien da dire è questa: ma scusa, caro Silvio, tu hai depenalizzato il falso in bilancio e poi inasprisci le pene per i giornalisti che sono pure il terminale della catena. E poi vuoi che ti voti?

Se il cittadino non lo vota non è perché ha inasprito le pene ai giornalisti.
È un esempio. Sono tante le cose che non ha fatto e di cui non si è occupato. Si è occupato prevalente degli affari suoi. Guardi la vicenda Rai. È stata massacrata (come nella gestione del centrosinistra), ma stavolta si è avuta la sensazione che la penalizzazione dell’azienda pubblica abbia favorito Mediaset.
Un elettore che ha votato Berlusconi in modo convinto perché non lo vota più, secondo lei?
Non ha fatto e non si è occupato delle cose concrete. Lui si diverte ad andare da Putin e da Bush. Ma il cittadino? Lui doveva scegliere due o tre cose e il resto pazienza. Non puoi governare, soddisfacendo tutti. Come la storia delle tasse...

Ecco.
Doveva abbassarle, poi a un certo punto ha spiegato che non si poteva fare e bisognava rinviare. Gli ho telefonato e glielo ho detto: non puoi fare così. E infatti ci ha ripensato e un po’ le ha abbassate.

Ma proprio un po’.
Infatti io pago ancora un sacco di soldi. Perchè dovrei credergli? Guardi che per perdere le elezioni basta un milione di voti in meno.

Intorno non è che abbia dei geni che lo aiutano molto.

E infatti, mi spiace dirlo, ma l’altro grande problema è che si è contornato di gente di basso livello. Dopodichè sono vere altre due cose. La prima è che in Italia dopo tre anni che governi stai sui coglioni alla gente. Lei ricorda un periodo in cui la gente ha mai detto che stava bene?

In effetti no. La seconda?

In Italia il sistema è bloccato, non si riesce a far niente. Questo vale anche per la sinistra. Credo che vincerà, ma già mi vien da ridere. Comunque Berlusconi qualche chance ce l’ha. Può sempre avere un colpo di reni, può contare sulla debolezza dell’avversario. Sa, quando la medicina tradizionale fallisce, si crede allo stregone.

9.05.2005

Berlusconi: «mi do 10 e lode, niente elezioni anticipate»


l premier torna a parlare a ruota libera, di tutto di più. «Mi chiedete se sono riuscito a fare tutto ciò che si poteva fare? Mi do 10 e lode», ha subito esordito il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi parlando a Cernobbio al workshop Ambrosetti.

Il presidente del Consiglio non ha alcuna intenzione di anticipare il voto “politico”. Berlusconi lo ha ribadito: «Non ho mai preso in considerazione l'ipotesi di anticipare le elezioni - ha affermato - la Finanziaria finisce a dicembre e poi ci sono tante riforme che spero si possano fare».

Ma il premier non ha potuto nascondere il clima “caldo” nella Casa delle libertà: «Le coalizioni non sono rette dalla democrazia della maggioranza. Nelle coalizioni anche i partiti piccoli possono bloccare, per questo ho proposto il partito unico dei moderati». «Ci sarebbe una sola regola che potrebbe portare un miglioramento: uno sbarramento al 10 per cento», ha detto Berlusconi.

«Se gli italiani mi daranno la fiducia mi sacrificherò per altri cinque anni. Altrimenti salirò su una bellissima barca, a Tahiti e ringrazierò la fortuna che mi ha salvato dalle responsabilita», ha poi sparato il presidente del Consiglio.

Infine, il premier è costretto ad ammettere: «L' euro è stato assolutamente positivo e riconosco il merito di Prodi». Il premier ha aggiunto: «L' euro è stato positivo per il bilancio dello Stato ma ha avuto un effetto negativo sulle spese delle famiglie».

9.02.2005

Il peggior discorso di BUSH?


«Bush ci ha regalato ieri uno dei peggiori discorsi della sua vita. Si è presentato con un giorno di ritardo, ha letto un discorso da “festa degli alberi” e con un grande sorriso ha promesso che tutto si sarebbe risolto. Il suo comportamento - che rasentava la negligenza - ha fatto capire che il Presidente non ha compreso la gravità della crisi».

New York Times, editoriale del 1 settembre dopo le parole di Bush sul disastro di New Orleans

Prima ha sorvolato la zona. Poi il presidente americano ha parlato alla nazione. George W. Bush giudica l'uragano Katrina «uno dei peggiori disastri naturali nella storia» degli Stati Uniti. «Ci vorrano anni» per riparare i danni ha aggiunto dopo avere presieduto alla Casa Bianca una riunione del comitato d'emergenza allargata a tutto il suo gabinetto.

Bush ha illustrato le prime misure prese a livello federale riassunte in tre punti: salvare la vita alle persone ancora in pericolo; garantire la sopravvivenza degli scampati e compiere uno sforzo di ricostruzione globale. Il presidente ha fatto appello alla generosità americana: «Abbiamo davanti una strada difficile», ha detto, esprimendo, però, la fiducia che gli ostacoli saranno sormontati.
Il New York Times prende chiaramente posizione contro le dichiarazioni di Bush. Secondo il giornale sull'uragano Katrina «George Bush ha tenuto uno dei peggiori discorsi della sua carriera» e, in quello che «appare un rituale della sua amministrazione, è arrivato un giorno in ritardo». Scrive così il NYT in duro editoriale dal titolo «Aspettando un leader». In un discorso che sarebbe stato più adatto «ad una celebrazione della festa degli alberi», Bush si è limitato ad una sorta di «lista della spesa» del ghiaccio, i generatori e le coperte inviati nelle zone devastate, incalza il quotidiano. Il NYT non si accontenta e aggiunge «nulla nel contegno del presidente- apparso noncurante sino alla negligenza- suggerisce che abbia capito la profondità della crisi»
Dal canto suo il Presidente annuncia di impegnarsi nell'organizzazione dei soccorsi a New Orleans devastata dall'uragano Katrina e promette «la più grande operazione di soccorso» mai operata negli Stati Uniti. In un'intervista alla ABC durante il programma «Good Morning America», tranquillizza e chiarisce alla popolazione che «tolleranza zero» sarà riservata a coloro che intendono sfruttare il disastro per violare la legge commettendo saccheggi, gonfiando i prezzi, cercando di frodare le assicurazioni.

Corriere della sera 02 settembre 2005

9.01.2005

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